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28 Novembre 2013

Il treno va a Mosca

"L’idea era quella di raccontare la nascita e la morte del grande sogno comunista in Italia affidandosi molto di più allo sguardo di un tempo che alle parole di oggi”, spiegano i registi. IL TRAILER

In concorso a Torino 31, ‘Il treno che va a Mosca’, distribuito da Istituto Luce Cinecittà. La fine di un’utopia narrata attraverso lo sguardo e i filmini conservati dall’archivio Home Movies. “L’idea era quella di raccontare la nascita e la morte del grande sogno comunista in Italia affidandosi molto di più allo sguardo di un tempo che alle parole di oggi. I film amatoriali sono uno sguardo unico su un’epoca, un occhio soggettivo che vale più di qualsiasi ripensamento o smentita successiva”, spiegano Federico Ferrone e Michele Manzolini, i giovani registi del film.

Il viaggio è quello che Sauro compie nel 1957, quando fa parte della delegazione italiana del Pci diretta a Mosca per il Festival mondiale della gioventù e degli studenti. E’ la prima volta fuori dell’Italia per Sauro, classe 1935 e di Alfonsine, uno dei tanti paesini della Romagna “rossa”, iscritto dal 1948 alla Federazione giovani comunisti italiani di cui diventa il presidente nel 1953. Ma cosa succede quando si parte per filmare l’utopia e ci si trova di fronte la miseria, la coabitazione, e quelle immagini di donne muratori in cantieri edili? Eppure c’è chi canta nel film sulle note di ‘Mamma’, famosa canzone degli anni ’40: “Lenin la tua dottrina si diffonde e vola / Lenin la tua parola è quella che ci consola”.

>>LEGGI SU CinecittàNews: Ferrone & Manzolini: il sogno in 8mm del barbiere comunista


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