11 Febbraio 2014
Gianni Amelio: “Oggi la sfida è l’omoaffettività”
"Oggi il rischio è quello di avere un'immagine di liberazione che non è tale. Ancor prima di parlare del matrimonio tra persone dello stesso sesso, bisognerebbe sperimentare lo scambiarsi amore"
BERLINO – “Felice chi è diverso essendo egli diverso, ma guai a chi è diverso essendo egli comune”. È il verso di Sandro Penna che dà il titolo al bel documentario di Gianni Amelio a Berlino in Panorama Dokumente. Un viaggio molto personale, “che in un paio di momenti mi ha veramente emozionato, perché ho scavato in queste storie come se scavassi dentro di me”, confida il regista di Porte aperte. E aggiunge con sottile autoironia: “ho trovato omosessuali dappertutto, tranne in Calabria dove l’unico omosessuale calabrese è andato via”.
Prodotto da Istituto Luce Cinecittà con Rai Cinema e Rai Trade, il MiBACT e Cubovision e il sostegno della Regione Lazio, Felice chi è diverso è una raccolta di testimonianze di uomini che spesso hanno dovuto vivere nell’ombra la propria vita sentimentale pagando pesanti conseguenze, perdendo il lavoro, subendo atroci derisioni. Ma non solo. Quello che spicca infatti, e che Amelio ha tenuto a mettere in risalto, è proprio l’assoluta diversità di queste storie: c’è chi ha sentito l’esclusione come una ferita, chi si è rallegrato di essere orfano per non doverlo dire ai genitori, chi ha alimentato una sessualità gioiosa e cosacca, chi ha potuto costruire una coppia duratura, chi si è sentito fortunato muovendosi in un ambiente congeniale come quello dello spettacolo o della moda, chi ha stretto un patto con una lesbica per poter avere gli assegni familiari. Non mancano i personaggi noti, da Paolo Poli a Ninetto Davoli, a John Francis Lane, giornalista e attore piuttosto famoso negli anni della Dolce vita. Colpisce la confessione televisiva di Umberto Bindi (mai mandata in onda) che fu additato perché aveva indossato un anello vistoso. Indigna il pestaggio mediatico contro Pier Paolo Pasolini, attaccato per le sue idee quanto per le sue scelte personali. E non è acqua passata se ancor oggi, proprio qui a Potsdamer Platz, c’è chi protesta contro l’omofobia ai giochi olimpici di Soci, a dimostrazione che la battaglia è tutt’altro che conclusa. Il film, che ha nella locandina un disegno di Jean Cocteau, sarà in sala il 6 marzo con Luce Cinecittà.
Come è nato questo progetto?
Due Venezie fa, quando ricevetti il Premio Pietro Bianchi, Roberto Cicutto mi propose di realizzare un documentario, come avevano accettato di fare Ermanno Olmi ed Ettore Scola. Gli dissi che avrei voluto parlare di come l’omosessualità era stata vista dai media italiani lungo il Novecento e lui accettò subito.
Come ha trovato i testimoni di questo lungo racconto spesso costellato di discriminazioni e solitudine?
Con Francesco Costabile ho fatto lunghe ricerche per trovare le persone giuste. Il documentario è costato pochissimo, sono appena 48 ore di girato. Quindi non abbiamo potuto percorrere tutta l’Italia per fare un casting, ma abbiamo incontrato le persone attraverso alcuni amici, poi l’Arcigay ci ha aiutato, cercavamo una fascia di età tra i 75 e i 95 anni. Abbiamo incontrato 22 persone, ho montato 20 interviste e altre 2 compariranno nel dvd.
Perché non ci sono le donne lesbiche?
Perché ritengo che il problema sia diverso, che sia diverso il loro rapporto con la società. Se due donne passeggiano tenendosi per mano nessuno ha niente da ridire e anche in famiglia non è così duro confessarlo. Per una società maschilista come la nostra, l’omosessualità femminile non è oggetto di sberleffo insultante ,ma semmai è considerata qualcosa di eccitante. Comunque mi auguro che ci sia una donna che faccia Felice chi è diverso al femminile.
Invece come avete lavorato sul materiale di repertorio?
Purtroppo il materiale di repertorio non è abbondante sull’argomento. Pensavo che durante il fascismo ci fosse stata una censura dall’alto, ma che dopo le cose fossero migliorate. Invece la censura è continuata fino agli anni ’70, quando poi sull’onda di quanto accadeva in America l’omosessualità è potuta uscire allo scoperto. Prima si diceva: “fate come vi pare, purché non si sappia”. Allora, negli anni ’80, anche i giornali hanno cominciato a essere meno offensivi. Come accadeva in passato. In particolare la stampa di destra, specie i settimanali ‘Il Borghese’ e ‘Lo Specchio’, ad ogni numero contenevano almeno un attacco a qualcuno, diretto o indiretto. Fiorentino Sullo, un politico democristiano, che fu più volte ministro, è stato costretto a sposarsi dalla campagna del ‘Borghese’. Fu un gioco disgustoso, una trappola, perché il matrimonio divenne la prova del nove della sua omosessualità visto che riuscirono a dimostrare che era un matrimonio falso.
La televisione, invece, censurava completamente l’omosessualità.
Non si trova quasi niente in televisione. Ad esempio lo sketch di Raimondo Vianello con i boccoli biondi che si vede nel documentario, non andò mai in onda. E neppure l’intervista a Umberto Bindi, dove c’è una specie di coming out. I giornali scandalistici e di cronaca nera si buttavano invece su titoli a effetto come “Roma sporca”, “I vizio imperante”.
Nel film si riflette molto sull’uso delle parole e l’evoluzione del linguaggio.
Allora non si diceva omosessuale ma invertito, capovolto, finocchio, occhiofino, come si sente in una scena del film Il sorpasso di Dino Risi. Al cinema comparivano spesso figure di sarti effeminati sulla falsariga di Schubert, che all’epoca era molto popolare. Ma in alcune delle nostre testimonianze si fa capire che il non dirlo in qualche modo proteggeva e aiutava a esserlo. Molte persone sugli 80 anni dicono che si stava meglio quando si stava peggio… quando si doveva fare tutto di nascosto. È vero che oggi ci sono forme più subdole di colpire. Ma chi ragiona così si riferisce all’omosessualità, non all’omoaffettività. L’avventura alla cosacca come direbbe Paolo Poli, la botta e via, erano possibili, ma una relazione lunga? E perché la realtà di un omosessuale dovrebbe essere quella di una prostituta o di un puttaniere?
È sorprendente la testimonianza del portaborse democristiano che oggi vive in una casa di riposo di religiosi e che racconta che Andreotti fosse bisessuale.
La bisessualità di Andreotti fu oggetto di derisione anche sul ‘Borghese’ con lo slogan “E’ il buco che traccia il solco, ma è la spada che lo difende”. Un’altra vignetta terribile è quella della borsa dell’acqua calda per “pasolinidi”, che ha la forma di un sedere. Oppure l’onesto magnaccia che rifiuta di salire sul cellulare insieme a Pasolini.
Cos’ha scoperto che non sapeva nella sua ricerca?
Ho scoperto una verità che sappiamo tutti. Etero e omo abbiamo tutti gli stessi problemi. Anche tra un uomo e una donna ci sono migliaia di varianti. I venti omosessuali che raccontano le loro vite nel documentario sono venti casi totalmente differenti. Se vogliamo parlare non di sesso ma di affettività allora siamo tutti uguali. Bisognerebbe partire da questa considerazione anche per evitare che si debbano in futuro fare documentari come questo.
Lo considera un atto politico in un’Italia dove ancora si fa fatica persino a parlare di matrimoni tra persone dello stesso sesso?
Spero che sia un atto politico, ma non in senso retorico. In me c’è una partecipazione talmente profonda che l’atto politico si trasforma in solidarietà. Mi sono commosso quando Roberto David, che è stato in manicomio per la sua omosessualità, canta la canzone di Caterina Valente e racconta di quando scrisse una lettera al prete che aveva sentito alla radio e dice che la religione dovrebbe essere meno crudele. Prima di Papa Francesco abbiamo sentito degli anatemi terribili, anche dall’ultimo Papa. E poi Lucy, la trans di Bologna, che oggi ha 92 anni e parla ancora al presente del fatto che, da quando si è operata, non prova più piacere.
La condizione dell’omosessuale è anche legata al suo status sociale.
L’intervista che vediamo all’inizio, con la madre del gay a cui dicono: signora, lei porterà la croce perché suo figlio è nato in un ambiente umile, se fosse ricco non avrebbe tanti problemi, ci dice una cosa importante. Essere omosessuali nel mondo dello spettacolo o della moda non è lo stesso che esserlo per un insegnante di scuola media o un maestro elementare, che potrebbero essere accusati di pedofilia, perché c’è ancora chi, come Putin, confonde le due cose, o come un operaio che perde il lavoro.
Lei racconta anche l’omosessualità vissuta come riscatto sociale.
Di Ninetto Davoli ho voluto mettere il racconto sulla sua infanzia, la povertà che ha vissuto quando emigrò dalla Calabria andando a vivere in baracca con la zia in borgata, fino all’incontro con Pasolini e la sua carezza nei capelli. Il dopo era forse più scontato. Paolo Poli ha avuto il privilegio di avere genitori meravigliosi e la sua figura vola alto, al di sopra dei sessi, nessuno ha mai osato deriderlo. In lui c’è la rappresentazione concreta dei versi di Sandro Penna.
Un intervistato, Ciro Cascina, dice che la parola “gay” ha cementificato tutto.
Ha ragione, gay è una parola ingiusta, toglie l’insulto ma toglie anche la diversità alle diversità. Quella parola farebbe orrore a Penna, come faceva orrore a Pasolini, perché fa di ogni erba un fascio. Vorrei che non ci fosse la parola gay a cementificare una differenza che essendo tale lo deve rimanere fino in fondo.
Perché ha scelto di chiudere con l’intervista a un giovane di Bergamo?
Per non dare l’impressione di uno studio archeologico sull’argomento e porre l’accento sulla necessità di parlarne oggi. Mi sembrava necessario un ponte verso il domani, ma è stato difficile trovare un ragazzo giovane che non fosse un esibizionista. Perché basta andare su internet e trovate di tutto, cose un po’ finte che si fanno per mettersi in mostra. Ecco, se vedo un pericolo che i giovani omosessuali corrono, è quello di avere un’immagine di liberazione che non è tale. Il giovane non deve porsi solo il problema di essere accettato in famiglia, ma deve combattere dentro se stesso per saper amare uno dello stesso sesso. Ancor prima di parlare del matrimonio tra persone dello stesso sesso, bisognerebbe sperimentare l’omoaffettività, il vivere insieme e lo scambiarsi amore. Alla fine di Comizi d’amore di Pier Paolo Pasolini, c’è un matrimonio tra due giovanissimi, un ragazzo e una ragazza, e la voce di Pier Paolo dice: “Oggi Graziella e Franco si sono sposati, auguro loro di unire al loro amore la coscienza del loro amore”. Questo è il bisogno che oggi abbiamo tutti, etero e omo.
(Cr.P)