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24 Marzo 2015

Monicelli a Buenos Aires

Il centenario di Mario Monicelli al BAFICI 2015 di Buenos Aires

Alla 17a edizione del BAFICI, Festival Internacional de Cine Independiente di Buenos Aires che si svolgerà dal 15 al 26 aprile 2015, verrà festeggiato il centenario di Mario Monicelli. Sarà proposta una rassegna di classici diretti dal maestro italiano realizzata in collaborazione con Luce Cinecittà. Inoltre, al Museo de la Recoleta, verranno allestite una mostra fotografica e un’esposizione di installazioni curate dall’artista Chiara Rapaccini. Dibattiti, conferenze, videoproiezioni e incontri con cineasti argentini sull’opera monicelliana sono previsti in varie sedi della capitale.

 

VITA DA CANI, 1950

Regia di Steno e Mario Monicelli

“Aldo Fabrizi aveva un grande successo, fin dai tempi di Campo de’ Fiori, de L’ ultima carrozzella, proveniva dal teatro di varietà. Grazie a lui in Vita da cani riuscimmo a trattare del mondo dell’avanspettacolo che c’interessava molto. Fabrizi collaborò alla sceneggiatura perché aveva moltissimi aneddoti e ricordi personali. Lui in Vita da cani rifà un po’ se stesso e un po’ s’ispira ad altri attori più o meno noti che non avevano avuto fortuna. Collaborò anche Sergio Amidei che conosceva bene quel mondo. Quando lo facemmo non sapevamo che Alberto Lattuada e Federico Fellini stavano girando Luci del varietà, né loro sapevano del nostro film. Il varietà era una miniera che è stata poco sfruttata. Così come adesso chissà quanto ci sarebbe da dire del cabaret. La Lollobrigida e la Pampanini erano delle vincitrici di concorsi di bellezza. Il pubblico e i produttori avevano fame di belle ragazze, e loro lo erano veramente. Dalla Mangano, alla Bosè, alla Lollobrigida, alla Gianna Maria Canale, alla Loren, venivano tutte fuori dai concorsi di bellezza. Appena ce n’era uno, tutti correvano ad accaparrarsi le miss che poi si buttavano dentro a un film. Tanto loro non avevano niente da fare: il film eracdi Totò, vicino aveva una bella donna e tutto finiva lì. Si spogliavano un po’, per quello che era possibile, o facevano una passerella. La Lollobrigida era già una piccola vedette e la scegliemmo per Vita da cani anche per questo motivo. Era un film con tre storie intrecciate, quindi avevamo bisogno di tre donne, la Lollobrigida, Tamara Lees, un’attrice inglese, e Delia Scala, che era una ragazzina molto scattante e brillante. La lavorazione dei film di Totò durava tra le cinque e le sei settimane. Vita da cani, che era un po’ più complesso, dovette arrivare alle sette settimane. Quella era la media generale, anche perché allora i film erano più corti di oggi, un’ora e venti, massimo un’ora e mezza. Le due ore erano una follia: come La terra trema di Visconti che sembrava un film sterminato”.

Mario Monicelli*

 

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CASANOVA ’70, 1965

“Carlo Ponti aveva un soggetto di Tonino Guerra su una specie di psicopatico: un personaggio per Mastroianni, che aveva allora un grande successo internazionale; la storia di un uomo piacente che però per amare aveva bisogno di trovarsi in pericolo. Così con Tonino Guerra concepimmo una serie di incontri, di episodi cioè, di questo personaggio con varie donne, e ne venne fuori Casanova ’70. Nel film debuttò come attore Marco Ferreri, che fece la parte di un bieco marito che preparava una trappola mortale per Mastroianni e nella quale rimaneva lui stesso incastrato grottescamente. Il film era divertente perché c’era una certa smitizzazione del latin-lover, girato in posti piuttosto belli, alla Malcontenta, nelle Puglie, a Parigi, ed ebbe molto successo”.

Mario Monicelli

 

UN BORGHESE PICCOLO PICCOLO, 1977

“In Italia c’era il problema dei sequestri di persona, delle rapine, della gente che si vuol fare giustizia da sè. Lessi il libro di Vincenzo Cerami, Un borghese piccolo piccolo, che affrontava proprio il tema della violenza in maniera giusta, almeno secondo la mia sensibilità. La storia di un borghese che è un mostro di per sè; le sopraffazioni che riceve nell’ambiente di lavoro, da parte del capufficio; la lotta per la seggiola, per la carriera, in quella specie di formicaio che è un ministero; in casa poi lui esercita violenza sulla moglie e sul figlio. Poi il figlio, su cui puntava tutte le speranze, viene ucciso durante una rapina in cui non c’entrava per niente. Questo cittadino che sembra un modello, tutto casa e lavoro, è un tiranno e un violento represso, che a un certo momento si scatena e diventa un mostro e va in giro per la città come un lupo mannaro. Era una storia abbastanza truculenta che mi piaceva. Volevo inoltre fare un film con due facce: una prima parte molto divertente, da commedia all’italiana, con dei tocchi un po’ crudeli: quel capufficio laido con la forfora, quei rapporti tea superiori e inferiori, con la satira della massoneria e quell’iniziazione assolutamente ridicola. E poi una seconda faccia capovolta, piena di sangue e di orrore. Il tutto affidato a un attore comico. Sordi rimase dapprima un po’ perplesso, poi accettò di fare il film. Anche a lui dovevo dare due facce: quella sua solita comico-vile, e un’altra del tutto drammatica. Volevo tirare fuori da lui la verità di attore drammatico, che a mio avviso possiede fortemente, e che già avevo sperimentato ne La grande guerra con la scena finale della morte. Chiesi a Sergio Amidei di sceneggiare Un borghese piccolo piccolo perché pensavo fosse più adatto a questo tipo di film rispetto agli altri scrittori con cui lavoravo di solito. Ebbi un ottimo rapporto con Shelley Winters, che lavorò molto bene con Sordi. Il film suscitò un sacco di di attiti, fu uno di quelli per cui mi chiamarono di più in tutta Italia. C’erano come al solito due posizioni: c’era chi diceva che il film incitava alla violenza, invitava il cittadino a farsi giustizia da sè; chi invece diceva il contrario, che il film mostrava cioè quali sono le storture a cui questo sistema può portare. Io giocai una carta piuttosto rischiosa, perché poteva sembrare un film fascista; il pericolo consisteva nell’aver scelto Sordi, perché se avessi preso Volonté sarebbe diventato facilmente un personaggio odioso. Sordi è un personaggio popolare e amato dal pubblico, si fa fatica perciò a dargli torto. Ma io volevo proprio quello. In genere i giovani capivano quello che volevo esprimere, mentre le persone anziane recepivano l’altra faccia del film”.

Mario Monicelli*

 

VICINO AL COLOSSEO C’È MONTI, 2008

Una breve passeggiata assieme a Mario Monicelli attraverso le viuzze e le piazzette del Rione Monti ove il regista ha abitato per oltre un ventennio. Incontri amichevoli con passanti, negozianti, artigiani…

 

LA VERSIONE DI MARIO, 2012

Regia di Annarosa Morri, Mario Gianni, Wilma Labate, Felice Farina, Mario Canale

“La difficoltà maggiore nel costruire un ritratto di uno dei più prolifici e complessi tra gli autori del cinema italiano è stata soprattutto quella di scegliere gli aspetti da privilegiare fra i tanti possibili. Abbiamo cercato prima di tutto di far raccontare a Mario il suo sguardo sulla vita, così intenso e complesso, perché è alla vita che il suo cinema è fortemente legato. Abbiamo cercato tra noi quellapproccio e quella modalità di lavoro collettivo che era uno dei suoi elementi di forza. Ne esce una visione forse parziale e incompleta ma, speriamo, sincera e diretta e capace di dar conto della naturale e sconfinata onestà di un uomo daltri tempi che lascia a tutti, compresi i più giovani, alcuni strumenti di grande potenza per interpretare e orientarsi nel futuro”.

Annarosa Morri, Mario Gianni, Wilma Labate, Felice Farina, Mario Canale

 

*    Dichiarazioni tratte dal volume: Mario Monicelli, Larte della commedia, a cura di Lorenzo Codelli, prefazione di Tullio Pinelli, Dedalo Libri, Bari, 1986.


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