19 Ottobre 2015
Registro di classe, il viaggio di Amelio nella scuola elementare
In concorso alla Festa di Roma Registro di classe, libro primo 1900-1960, film d’archivio di Gianni Amelio e Cecilia Pagliarani, prodotto da Luce Cinecittà - che lo distribuisce anche - in collaborazi
Un viaggio nella scuola primaria dei primi sessanta anni del ‘900 italiano, un modo per raccontare un Paese che cresce (o arretra) insieme alla sua scuola. Registro di classe, libro primo 1900-1960 è un film d’archivio di Gianni Amelio e Cecilia Pagliarani, prodotto da Luce Cinecittà – che lo distribuisce anche – in collaborazione con Rai Cinema e Rai Com e realizzato con materiali provenienti da Archivio Storico Luce, Rai Teche, MIUR, Nosarchives.Com, Ascer, Casa della Memoria, Edu, Fdlm e Indire. Presentato in Concorso alla Festa di Roma, il film è la prima parte di un progetto più ampio che coprirà oltre un secolo di scuola dell’obbligo, raccontata in prima persona attraverso i sentimenti dei diretti protagonisti: insegnanti, bambini e genitori di ogni parte d’Italia che si raccontano, tra grandi aspettative e delusioni spesso altrettanto profonde. La seconda parte, dedicata agli ultimi trenta anni del secolo scorso, sarà pronta a fine novembre e potrebbe esserci anche un terzo libro, rivela il regista, che arrivi fino alla scuola di oggi, diversa nella forma ma non nella sostanza. Perché in fondo i problemi della scuola sono sempre gli stessi, e questo film d’archivio racconta il passato per risvegliare il presente. Perché certe discriminazioni non muoiono ma cambiano solo faccia e si presentano sotto forme nuove. Come il problema dell’italiano come lingua non condivisa da tutti gli studenti, che nel dopoguerra faceva i conti con la divisione nata dai dialetti locali parlati spesso come unica lingua, e oggi si ripropone nelle nostre classi in cui è consistente la presenza di bambini figli di immigrati.
VIDEO- La presentazione alla Festa di Roma:
Il film, ha rivelato il regista, nasce da un progetto mancato ispirato a una vicenda familiare, quella di sua zia, giovane maestra mandata a insegnare durante il dopoguerra in una scuola serale di un piccolo paesino della Sila. Costretta a percorrere ogni sera svariati chilometri per giungere alla sua numerosissima classe, composta da 350 uomini (alle donne l’istruzione “non serviva”), tutti adulti dai venti agli oltre cento anni. Una storia di profondo amore per l’insegnamento, nella consapevolezza che nella scuola c’è il seme della conquista e del futuro. “Non mi piace la parola ‘scuola dell’obbligo’ – ammette Gianni Amelio– mi fa pensare a qualcosa di punitivo. Mi piace piuttosto ‘scuola di diritto’, come diritto per il bambino ma anche come dono che la società fa a se stessa”. Perché nella scuola raccontata da Amelio non tutti gli alunni sono uguali e non a tutti sono date le stesse possibilità. Per tanto tempo il bisogno, l’indigenza, le guerre, hanno portato a considerare l’apprendimento qualcosa di superfluo, destinato ai ricchi, dal quale gran parte della società veniva tenuta fuori o si autoescludeva. Una scuola che spinge qualcuno verso lo studio mentre esclude altri, mostrando tutta l’incapacità dello Stato di risolvere un problema fondamentale che è la formazione dei giovani che saranno il futuro della nazione. Colpisce l’immagine di una bambina che a nove anni ha già ripetuto otto volte la prima. “Ma non è una bambina svogliata, spiega Amelio, una di quella bambine dei giorni nostri piene di possibilità che passano tutto il tempo a chattare. È solo una bambina a cui è stato impedito il piacere della scuola”.
VEDI ANCHE:
Gianni Amelio: La scuola non è un obbligo ma un diritto (intervista CinecittàNews)