Cinecittà

19 Ottobre 2016

Internazionalizzazione: occorre un’identità comune

“Ancora siamo in troppi a dare l'impressione di lavorare separati - sottolinea Roberto Cicutto. Non ha senso che tutto non rientri in un piano organico."

Si è parlato di internazionalizzazione della filiera audiovisiva italiana alla tavola rotonda organizzata oggi dall’Italian Film Commissions all’interno del training annuale tenutosi quest’anno a Roma. “Negli ultimi tempi si è sperimentata una presenza più rappresentativa delle varie realtà italiane in alcuni eventi internazionali, che fa sì che si possa offrire all’estero una visione più completa di tutti i comparti della filiera dell’audiovisivo” ha sottolineato Maria Giuseppina Troccoli, dirigente DG Cinema che ha ricordato l’operato di Luce Cinecittà nell’allestire durante i principali festival spazi dedicati al nostro cinema, un importante crocevia d’incontro per gli operatori del settore. Sempre più numerose le iniziative della DG Cinema in tema di promozione internazionale: intensificazione dei rapporti con alcuni paesi particolarmente promettenti; sostegno di accordi e finanziamenti di coproduzione e cosviluppo; stipula di nuovi accordi come il recente ingresso, effettivo dal prossimo gennaio, nel programma Ibermedia che facilita la possibilità di coproduzione con i paesi latini. “Ma la di là delle singole iniziative che si stanno portando avanti emerge la necessità di unire l’intero comparto per fare sistema perché ci sono attività che si stanno svolgendo o si potrebbero fare in sinergia”. 

Una necessità di collaborazione organica rimarcata anche dal presidente e AD di Luce Cinecittà, Roberto Cicutto, che riconosce la presenza di tanti e importanti settori ma sottolinea l’esigenza di rendere il tutto più organico a un progetto industriale finalizzato all’esportazione e all’investimento. “Ancora siamo in troppi a dare l’impressione di lavorare separati, a portare avanti iniziative che a volte sembrano duplicazioni. Non ha senso che tutto quanto fatto non rientri in un piano organico. È giusto che ognuno, secondo le proprie esperienze, si occupi del proprio settore, ma occorre un riferimento unico, qualcuno che ci metta la faccia. E penso che debba essere Luce Cinecittà, che dovrà assumersi anche la responsabilità di una buona gestione dei fondi”. 

Posizione che trova d’accordo il direttore generale APT Chiara Sbarigia che, ricordando quanto in ritardo rispetto all’Europa sia arrivata la legislazione italiana in termini di riconoscimento e sostegno all’audiovisivo, concorda nella necessità di “trovare una convergenza delle politiche di internazionalizzazione”. Sarebbe importante inoltre, secondo Sbarigia, poter far affidamento a un piano di sviluppo almeno triennale, che consenta di sviluppare una serie di relazioni; ma anche avere il coraggio di darsi criteri e indicatori di valutazione onesti, con cui stabilire se un obiettivo è stato raggiunto o meno. “E’ inutile essere presenti in tutti i paesi, se qualcuno non funziona allora è meglio abbandonare, lasciando magari solo un presidio istituzionale”. 

Anche se non è certo facile intuire rapidamente i cambiamenti del mercato. “Il mondo cambia con una velocità incredibile”, come evidenzia Paola Corvino, presidente Unefa (distributori film italiani all’estero). “Noi andiamo praticamente dappertutto per capire gli umori del paese e valutare anno per anno gli sviluppi del singolo mercato. Ad esempio Shangai, un mercato importante fino a un certo punto, d’improvviso è crollato. Questi sono risultati  che andrebbero però messi sulla carta, per un confronto periodico e concreto tra gli operatori”. 

“E’ cambiata la prospettiva di cosa vogliono gli operatori internazionali da noi”, secondo Francesca Cima, presidente produttori Anica. “L’obiettivo non è più un solo paese ma la competizione è divenuta più ampia. Si tratta di trovare delle convergenze sia in termini creativi che industriali per conquistare il mercato globale”. Un obiettivo che necessita di ordine: “Occorre capire chi fa cosa, ricordando che le cose che funzionano sono quelle in cui il sistema pubblico diventa un facilitatore per gli operatori. In questo senso si può immaginare una nuova, anche avveniristica per il nostro paese, interazione tra pubblico e privato”.


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