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23 Novembre 2016

Steve Della Casa: “Rita Pavone e la pop art”

Un travolgente documentario di Luce Cinecittà ci ripropone la stagione dei musicarelli, film cotti e mangiati costruiti attorno alle hit degli anni '60. Ma non erano solo canzonette

TORINO – Il termine “musicarelli” si usava un tempo con una certa connotazione negativa, come a dire musical di serie B. Ma il genere, tipico dell’Italia del boom, è passato comunque alla storia del cinema e del costume. E adesso un travolgente documentario di Steve Della Casa e Chiara Ronchini, Nessuno ci può giudicare, ce li ripropone attraverso le immagini dell’archivio del Luce e le interviste a molti dei protagonisti di quella stagione, da Caterina Caselli a Rita Pavone, da Shel Shapiro a Piero Vivarelli, da Don Backy a Ricky Gianco. Poco meno di un decennio, dal ’58 fin quasi al ’68 per raccontare quel cinema spesso costruito attorno ai successi canori del momento, con trame estemporanee, buffe o prevedibili. A una prima fase, quella degli “urlatori” (Celentano, Mina, Dallara) segue quella del beat rappresentato in Italia da Morandi, Rita Pavone, Chiara Caselli e Mal, poi tutto si spegne quando esplode la contestazione. “I giovani per la prima volta nella storia nazionale possono essere indipendenti economicamente dalla famiglia e possono coltivare i loro gusti musicali, il proprio modo di vestire. Il cinema racconta puntualmente questo cambiamento”, spiegano gli autori. O, come dice Shel Shapiro con una sintesi folgorante, “l’Italia che era un paese in bianco e nero è diventato a colori”. Nessuno ci può giudicare (Un film a 45 giri) debutta al TFF in Festa Mobile e sarà poi distribuito da Luce Cinecittà con alcune proiezioni evento in varie città, prima fra tutte Roma.

Steve Della Casa, come nasce questo progetto?

Negli anni ’60 vedevo questo genere di film, mi piacevano, così quando nell’archivio del Luce mi sono imbattuto in questi materiali mi hanno colpito. C’erano molte cose poco viste o inedite come i due minuti della visita dei Beatles in Italia.

Possiamo considerare la ribellione musicale ai matusa come una sorta di anticamera del ’68?

Il ’68 italiano nasce da una cultura giovanile di rottura rispetto all’epoca precedente. E’ un periodo fondamentale in cui l’Italia è cambiata radicalmente e in tempi inimagginabili anche solo un decennio prima. Quando Celentano e Mina cominciano a fare con Lucio Fulci e Piero Vivarelli i film rock, l’Italia crede di essere ancora un paese agricolo e tradizionale ma sta diventando rapidamente un paese moderno e industriale. La musica degli urlatori è per la prima volta qualcosa che non è dedicata a tutta la famiglia ma solo ai giovani.

Urlatori alla sbarra venne addirittura censurato.
Rischiò il divieto perché Mario Carotenuto faceva la parodia dell’alto funzionario Rai democristiano contrario alla musica rock.

Quali erano i suoi preferiti?

Quelli di Lina Wertmuller, che li firmava con lo pseudonimo di G. Brown perché un po’ se ne vergognava: Rita la zanzara e Non stuzzicate la zanzara. C’è quella scena di Rita Pavone che balla con Giulietta Masina che è memorabile. Per me è pop art. E poi la mia preferita era Caterina Caselli, di lei ero proprio innamorato.

Perché tra i tanti intervistati non c’è Gianni Morandi che fu protagonista di alcuni dei musicarelli più amati e famosi?
Perché non vuole più parlare di quel periodo, dice di averlo fatto abbastanza. Invece nel documentario non abbiamo montato le interviste a Mita Medici, Gian Pieretti e Dino che saranno negli extra.

Alcune interviste sono state realizzate anni fa, se non erro.
Dieci, per l’esattezza. Quelle a Shel Shapiro, Rita Pavone e Caterina Caselli sono le uniche recenti. Il progetto era partito dieci anni fa poi si era interrotto.

Avete avuto difficoltà a ottenere i diritti dei film e le altre immagini?

Oltre al Luce abbiamo attinto all’archivio dei Superottimisti, un gruppo torinese che raccoglie i Super8 dell’epoca. La Titanus ci ha dato gratis tutti i suoi film, tra cui quelli di Fizzarotti, Non son degno di te, In ginocchio da te e Nessuno mi può giudicare. Goffredo Lombardo amava molto questi film perché lo avevano salvato dal fallimento rischiato ai tempi di Sodoma e Gomorra e del Gattopardo. Ricordo che nell’80 venne ospite al Movieclub di Torino e strappò l’ultima cambiale del Gattopardo.

I musicarelli incassavano bene?
Nessuno mi può giudicare e In ginocchio da te hanno incassato due miliardi di lire nella stagione in cui sono usciti. Furono successi di profondità, ancora a metà degli anni ’70 circolavano nelle sale di periferia. In più erano film cotti e mangiati, scritti in una settimana e girati in due. Costavano pochissimo.

Come mai ha coinvolto Massimo Scarafoni, molto noto come addetto stampa meno come esperto di musica pop?
Non volevo un grande intellettuale per duettare con me, ma uno che conoscesse bene quel periodo. Massimo è un grande collezionista di 45 giri.

Pensa che il film abbia un valore solo per chi ha nostalgia di quei tempi per averli vissuti o che magari possa appassionare anche i giovani?
La presenza della co-regista e montatrice Chiara Ronchini, che ha circa quarant’anni, è stata fondamentale per questo, per darci lo sguardo di una generazione successiva. Credo che appassioni anche i giovani.

Rita Pavone sarà qui al TFF per accompagnare il film in sala.

Rita è torinese, suo padre era operaio alla Fiat, la madre faceva la portinaia. Tra l’altro, come racconta nel film, era molto amata da Togliatti. E’ legata a quel periodo anche se dice che avrebbe voluto fare un film drammatico e magari è ancora in tempo per farlo.

Leggi le dichiarazioni di Rita Pavone

(Cristiana Paternò)


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