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15 Giugno 2018

Luigi Barletta: il mio toro scatenato napoletano

Presentato nella sezione ‘Storie italiane’ del Biografilm Festival e distribuito da Luce Cinecittà, Il toro del Pallonetto è un mockumentary - costruito grazie ai materiali dell’Archivio Luce - sulle

 

BOLOGNA. “Si era in piena diatriba tra apocalittici e integrati riguardo all’immagine della città di Napoli offerta dai mezzi di comunicazione. Desideravo raccontare la cosiddetta ‘altra faccia della città’ – in realtà numericamente è la quasi totalità – che coesiste con Gomorra”. Luigi Barletta spiega così il suo documentario Il toro del Pallonetto, il mockumentary presentato nella sezione ‘Storie italiane’ del Biografilm Festival (sabato 19 giugno, ore 19.00 alla sala Galliera) e distribuito da Luce Cinecittà. La leggenda del pugile Joe (Giuseppe) Esposito, soprannominato il Toro del Pallonetto per la sua corporatura massiccia e le origini da un quartiere popolare di Napoli, è stata ingiustamente macchiata per anni dallo scandalo scommesse. Il regista Luigi Barletta riabilita l’uomo, di cui non si hanno immagini e che possiamo solo fantasticare, e ripercorre la sua vicenda, frutto della fantasia, in un mockumentary costruito in gran parte grazie ai materiali di repertorio dell’Archivio Luce.

Joe è in fondo il simbolo di quella Napoli proletaria e povera che cerca il riscatto sociale, la cui storia personale s’incrocia inevitabilmente e fa a pugni, appunto, con la Storia con la S maiuscola del Novecento e del capoluogo campano: il fascismo, la Liberazione, l’emigrazione verso gli Stati Uniti, la rivolta di Budapest, gli anni del ‘Comandante’ Lauro, la giunta guidata dal comunista Maurizio Valenzi, l’epidemia di colera e il terremoto in Irpinia. Il ritratto di Joe, questo eroe del ‘quotidiano’, è scandito dalle voci di chi lo ha conosciuto, personaggi sia di fantasia sia reali come il regista Ugo Gregoretti, l’editore Tullio Pironti, il critico Valerio Caprara, i pugili Nino Benvenuti, Patrizio Oliva. Alla fine allo spettatore si trova al centro di un viaggio attraverso le sofferenze e le speranze di quella città partenopea vitale e non rassegnata che viene raccontata con affetto e partecipazione da Barletta, che oltre ad essere docente di cinema presso l’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa e l’Accademia di Belle Arti di Napoli, ha firmato documentari,tra cui al film collettivo Il pranzo di Natale, coordinato dalla regista Antonietta De Lillo, cortometraggi di finzione, e spot sociali.

Come nasce l’idea di questo mockumentary?

Cercavo un personaggio che rappresentasse una Napoli che si batte contro ogni avversità mantenendo sempre ben saldi i propri principi morali. Il mockumentary è il genere che meglio di ogni altro consente di creare storie fantastiche con una forte aderenza alla realtà. Inoltre, fattore non secondario, permette di raccontare storie di finzione complesse ed elaborate a budget molto contenuti.

Perché ha scelto come protagonista un pugile?

Il pugilato è da sempre lo sport più cinematografico per molteplici fattori, basti pensare ai tanti film realizzati: da Stasera ho vinto anch’io a Rocky, passando per Cindarella Man e l’inarrivabile Toro scatenato. Si potrebbe dire che la nobile arte della boxe contiene al suo interno l’essenza stessa del cinema: il duello, la plasticità delle azioni, la carica emotiva.

Si è ispirato a una persona reale o a una tipologia napoletana?

La storia della boxe è ricca di personaggi con biografie incredibili a cui ho attinto. In particolare un punto di riferimento è stato Tullio Pironti, il grande editore e anche ex pugile, che mi ha raccontato tanti episodi della sua vita ai quali mi sono ispirato. Non posso tralasciare le storie di Tonino Borraccia, Enzo Guerra, Agostino Cossia; pugili tra gli anni ’40 e ’60, tutti di origine partenopea. Per quanto riguarda l’immagine di Joe, il pugile a cui ho fatto riferimento è il colosso Primo Carnera. Ma in realtà confluiscono in Joe Esposito le storie, la personalità, i comportamenti di tanti altri pugili come Joe Louis, Jack LaMotta, Nino Benvenuti, Muhammad Ali.

Perché ha scelto il quartiere del Pallonetto?

Il Pallonetto a Santa Lucia è una delle zone più povere della città, con un alto tasso di criminalità, situato a poche centinaia di metri da un luogo fortemente simbolico quale Piazza del Plebiscito. Rappresenta quindi al meglio la complessità di Napoli. Volevo raccontare la storia di un personaggio che riusciva a emanciparsi da un contesto difficile ma ciò nonostante non può togliersi di dosso l’etichetta che gli è stata affibbiata dalla nascita. Operiamo spesso questo genere di categorizzazioni considerando più facilmente dei delinquenti le persone che provengono da un determinato humus.  Non è altro che il principio della discriminazione.

Quali le sue fonti storiche?

Ho ripercorso i principali eventi storici del Novecento, legati in particolare a Napoli, documentandomi nei modi più disparati: archivi, emeroteche, interviste a storici e anche documentari. Il supporto di Giuseppe Aragno, docente di Storia Contemporanea all’Università degli Studi “Federico II” è stato di fondamentale importanza nella ricostruzione dei principali episodi storici ripercorsi nell’arco narrativo del film.

C’è qualche evento storico della città di Napoli che ha dovuto sacrificare in questa panoramica del Novecento?

Nella costruzione del mockumentary ho ovviamente privilegiato dei momenti storici documentati dallo strumento audiovisivo. Mi è sembrato naturale quindi far nascere il protagonista, Joe Esposito, nel 1930 in piena epoca fascista e far perdere le sue tracce dopo il terremoto in Irpinia del 1980. Ciò mi ha consentito di ripercorrere un cinquantennio fondamentale per la città di Napoli e non solo, evitando di omettere momenti topici. Certo avrei voluto raccontare anche il terrorismo, attraverso il rapimento Cirillo del 1981, e l’arrivo di Maradona con la susseguente ventata adrenalinica. Un’intervista in cui Diego affermava di aver scelto Napoli dopo aver seguito le gesta di Joe Esposito sarebbe stata magnifica.

La ricerca dei materiali visivi è stata complicata e quanto è stato importante e decisivo il materiale dell’Archivio Luce?

Perdersi nell’infinito mare dei materiali dell’Archivio Luce è stato uno dei più grandi piaceri vissuti per la realizzazione del film. Ho navigato per ore, giorni, settimane all’interno del sito dell’Istituto Luce ritrovandomi a osservare filmati anche poco attinenti con la mia ricerca ma che custodivano un fascino e un potere attrattivo straordinari. Il patrimonio del Luce rappresenta un bene prezioso da tutelare, custodire e divulgare.

Come ha scelto le ‘testimonianze’ e a quali ha dovuto rinunciare?

I soggetti intervistati hanno tutti una precisa collocazione all’interno della parabola di Joe Esposito. Ho cercato innanzitutto di raccogliere le false testimonianze di veri pugili che potessero offrire verosimiglianza alle vicende di Joe: i contributi di Nino Benvenuti, Clemente Russo e Patrizio Oliva si sono rivelati decisivi. Nella costruzione della vita post-pugilistica del protagonista, mi sono concentrato nell’individuazione di personaggi noti che potessero, con la propria autorevolezza, incrementare il senso di realtà: il compianto Luigi Necco, Ugo Gregoretti, Valerio Caprara si sono concessi con grande disponibilità. I veri e propri attori Roberta Riccio, Nello Mascia, Franco Javarone e Antonello Cossia hanno permesso invece che il film assumesse toni epici senza rinunciare all’ilarità. Sono poche le testimonianze previste da sceneggiatura a cui ho dovuto rinunciare; su tutte quella di Vinicio Capossela, al quale auspicavo di poter far suonare la sua canzone Il pugile sentimentale tra le straordinarie rovine di un piccolo comune irpino, Calitri, di cui è originario. Sarebbe stato intrigante raccontare il terremoto e la scomparsa di Joe con la sua testimonianza. Speriamo almeno veda il film e gli piaccia.

Stefano Stefanutto Rosa

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