10 Febbraio 2019
L’energia esplosiva di Dafne e di quel cromosoma in più
"Nessuno è perfetto, la perfezione annoia", dice con incredibile saggezza Carolina Raspanti, interprete di di Dafne di Federico Bondi. Trent’anni e un cromosoma in più, una condizione genetica conosci
BERLINO – “Che le prenda lei quelle pasticche, io voglio piangere!” grida con rabbia Dafne rifiutando gli ansiolitici che vorrebbero darle in ospedale per affrontare la morte improvvisa della madre. Con il suo urlo solleva il velo su tutta l’incongruenza di una società indaffarata a ristabilire l’ordine precostituito, ossessionata dal normalizzare tutto, anche il dolore del lutto, pur di riportare ogni cosa tra confini conosciuti e rassicuranti. Confini che Dafne, opera seconda di Federico Bondi alla Berlinale (Panorama), supera di continuo, costringendo lo spettatore ad interrogarsi sulle proprie paure e preconcetti. Dafne ha trent’anni e un cromosoma in più, una condizione genetica scientificamente definita come sindrome di Down. È una creatura meravigliosa che affronta il mondo senza filtri, con l’incoscienza di una bambina e il coraggio di una donna, con una vitalità travolgente che utilizza anche per scuotere il padre, sprofondato nella depressione dopo che gli equilibri familiari sono andati in frantumi con la scomparsa della moglie. Tante e spiazzanti doti che sono le stesse che non si può non notare nell’attrice che la interpreta, una straordinaria Carolina Raspanti, anche lei con sindrome di Down e che su questa condizione ha scritto due libri che da qualche anno presenta in giro per l’Italia. Grazie proprio a questi romanzi e a un video di una sua presentazione pubblicato su YouTube dal un canale locale, ha colpito l’attenzione del regista, che ha fatto di tutto per entrare in contatto con lei e proporle il progetto. “Ho accettato di fare il film e mi sono calata con naturalezza nel personaggio perché lo sentivo mio – racconta Carolina- volevo far emergere anche la mia personalità, il mio modo di rapportarmi con le persone. La semplicità e la naturalezza di Dafne riflettono quello che sono realmente nella vita”.
Dafne sa organizzare da sola la sua vita, è brillante e autonoma, grazie anche agli amici ma soprattutto al lavoro a cui tiene moltissimo. “Per me il lavoro è sacro”, dice, sottolineando quanto chiunque possa conquistare il proprio posto nel mondo, indipendentemente dal numero di cromosomi. “Il lavoro, come i veri affetti, è qualcosa di sacro” conferma anche Carolina, che come la protagonista del film sottolinea con orgoglio di lavorare da dodici anni all’IperCoop: “Al di la del perché mi dà la possibilità di vivere, mi piace per il contatto con gli altri. Adoro i miei colleghi con cui ho un rapporto bellissimo. Per scherzare ultimamente mi chiamano star, mi fa piacere ma non mi sento una diva, sono Carolina e basta, una ragazza con i piedi per terra a cui piace la sua quotidianità”.
Stupisce per la sua saggezza semplice e per la sua esplosione di energia, ma non nasconde le difficoltà della vita Carolina, che confessa di aver in passato un paio di volte anche pensato al suicidio, “ma è una cosa che ho superato”, rassicura. “Avere un carattere determinato mi ha aiutato a venir fuori dalle difficoltà. Le cose bisogna guadagnarsele, anche con sacrificio, come mi hanno insegnato i miei genitori da cui ho appreso tanto, soprattutto l’onestà e il non darsi mai per vinti. Anche io a volte ho avuto momenti di crisi, ma nessuno è perfetto, la perfezione annoia. Tutti abbiamo difetti e sbagliamo in quanto esseri umani”.
Dafne è il secondo lungometraggio di Federico Bondi (Mar Nero, 2008), prodotto da Vivo film con Rai Cinema e distribuito da Luce Cinecittà dal 21 marzo, la Giornata Mondiale sulla Sindrome di Down. “Non sarei stato capace da solo di scrivere la sceneggiatura se non avessi conosciuto Carolina, che mi ha da subito colpito profondamente -racconta il regista – È una ragazza con un grande buonsenso, rispetta tutte le regole che si dà, dal tenersi a dieta al non bere. Quello che pensa fa, non ha contraddizioni, a differenza di me e della maggior parte delle persone che conosco. Ma la cosa che più mi ha colpito di lei è la voglia di vivere, lo stupore, la sua sensibilità. Anche perché non volevo fare un film sulla diversità in generale ma cercare di approfondire quelle che sono le risorse che ognuno ha dentro di sé”.
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