Documentari

1 Settembre 2020

Andrea Segre: lettera al padre dalla Venezia del lockdown

Prodotto da ZaLab Film con Rai Cinema in associazione con Vulcano e Istituto Luce Cinecittà e in collaborazione con Teatro Stabile del Veneto Carlo Goldoni, Molecole sarà nelle sale il 3 settembre

VENEZIA – Un’intensa lettera al padre. Ma anche un’esplorazione della Laguna nei giorni più cupi della pandemia alla scoperta della bellezza e del vuoto. E ancora un documentario sugli effetti del turismo di massa in una città fragile. Pre-apertura della 77esima Mostra, Molecole di Andrea Segre è un film intimo e toccante, fatto di acqua e di memorie che riaffiorano nel silenzio del confinamento. Con i sorprendenti Super8 del padre Ulderico e dello zio Giuliano, foto conservate in cassetti segreti, sguardi dimenticati e un rapporto mai affrontato con la città di origine per il 44enne regista cresciuto a Padova. Tra i volti di Molecole Elena “Nena” Almansi, 24 anni, esperta di voga che ci porta in giro nella magia di una città ferita dall’acqua alta e dall’invasione di un turismo non consapevole. Un film che si è evoluto nelle mani dell’autore, partito come doppio progetto tra teatro e cinema, divenuto nel corso del lockdown riflessione sul rapporto con il padre, veneziano, scienziato, uomo di poche parole, che ha lasciato con la sua morte molte domande senza risposta.

Prodotto da ZaLab Film con Rai Cinema in associazione con Vulcano e Istituto Luce Cinecittà e in collaborazione con Teatro Stabile del Veneto Carlo Goldoni, Molecole sarà nelle sale il 3 settembre con ZaLab in collaborazione con Lucky Red.

A fine febbraio, durante un anomalo Carnevale spento nel coronavirus, Segre (Io sono Li, La prima neve) stava lavorando a due progetti. Ma mentre girava il virus ha congelato e svuotato la città davanti ai suoi occhi, riconsegnandola alla natura. Così è rimasto nella casa di famiglia, dove ha avuto modo di scavare nei ricordi. Archivi personali in Super8 di Ulderico, si alternano a incontri con cittadini veneziani, con la voce fuoricampo del regista e le musiche di Teho Teardo, nasce una visione unica del lockdown.

Un film molto personale con una grande complessità di temi. Come ha costruito il dialogo con suo padre assente, morto dieci anni fa?

L’ho affrontato senza capire e senza razionalizzare. Tutto ciò che vedete è stato girato senza pensare che fosse un film su mio padre. Ho vissuto, pensato e sognato in quei giorni, ma solo dopo, quando sono tornato a Roma, ho iniziato a capire cosa era successo e ho iniziato ad aprire i cassetti. Mio padre aveva affidato i Super8 a un cugino di mia madre, poi ho trovato delle vecchie lettere che io gli avevo scritto a cui non aveva dato risposta ma che conservava gelosamente e delle foto. Tra questa le due foto di me bambino in braccio a lui allo specchio, una la conoscevo, quella in cui i nostri volti si vedono entrambi, l’altra no…

Quanto è stato importante il lockdown per consentirle di avviare questo dialogo immaginario?

Tutto ciò non sarebbe mai successo se non fosse arrivata questa condizione impensabile, un silenzio che racconta tante cose, il vuoto da cui sgorga il rapporto con i vuoti e i silenzi di papà. Se non fossi stato a Venezia in quei giorni, non avrei mai iniziato questo viaggio. È questo insondabile rapporto col destino di cui parla Camus, scrittore che mio padre amava. A volte ci sono cose che sembrano scritte per te. Non avevo mai deciso di vivere a Venezia, avevo un rapporto conflittuale con una città dove fai fatica a muoverti.

È andato a Venezia per altri progetti.

Dovevo stare lì dal 20 febbraio al 20 marzo. Lavoravo a un progetto con il Teatro Stabile del Veneto, la mia prima regia teatrale con Andrea Pennacchi, un’opera sperimentale in dialogo con il cinema sul rapporto tra Venezia e l’acqua, che andrà in scena a marzo 2021. Il secondo progetto è un lungometraggio prodotto da Iole e Rai Cinema che dovrebbe andare sul set a ottobre e che racconta la storia di tre fratelli pescatori della Giudecca che devono decidere cosa fare della loro casa, se affidarla al turismo o no. 

Infatti Molecole racconta anche l’impatto ambientale del turismo su una città come Venezia e sui suoi abitanti.

Questa urgenza non è solo di Venezia, il turismo di massa ha un grave impatto ambientale e antropologico sulle nostre vite ovunque. Ritengo che il turismo e lo svuotamento dei centri storici resi fruibili per i turisti sia un grave problema. Fin qua abbiamo solo pensato a far girare l’industria, ma come è come negli anni ’50 per il petrolchimico: qualcosa che porta lavoro a un prezzo molto elevato. È vero che fermare il turismo vuol dire perdere posti di lavoro, perché a Venezia ci sono 40mila addetti. Ma su questo la città, che il 20 settembre deve eleggere il nuovo sindaco, si interroga da alcuni anni, ci sono movimenti civici. Bisogna prendere decisioni strutturali. Sono in ballo interventi economici molto grandi. A Venezia ci sono ogni giorno 120mila persone, di questi solo 40mila sono residenti.

A proposito di sostenibilità, durante il lockdown sembrava che avessimo imparato a rallentare i ritmi di una civiltà basata sul consumo incessante e il mancato rispetto delle risorse del pianeta. Ma ora tutto sta ripartendo come prima con scarsa consapevolezza ambientale.

Uno dei guai dell’umanità è che dalle tragedie sembra si debba imparare tantissimo, ma poi si ricomincia a fare gli stessi errori di prima. Però nascono anche degli anticorpi che man mano ci proteggono. Il nazionalismo, il razzismo, i totalitarismi del Novecento non sono scomparsi, perché in maniera carsica ritornano, però abbiamo sviluppato appunto degli anticorpi. Spero che questo anno così potente con l’evidenza dell’impatto dell’uomo sulla natura e sugli altri uomini ci aiuti a sviluppare anticorpi capaci di dire che non torniamo a pompare come prima. Il piccolo contributo del cinema è sedimentare la memoria per dare un senso a ciò che abbiamo vissuto. La vita quotidiana ci offre un rapporto sbrigativo con la memoria. In questa velocità di vita e produzione di immagini il cinema può fermare la corsa per permetterci di capire.

Cosa significa per lei aprire il festival?

Sono felicissimo che il festival ci sia e che dica al mondo che il cinema appartiene alle sale. Non dobbiamo accontentarci di vedere i film a casa da soli. La sala ha un valore artistico e sociale, che permette al cinema di avere una funzione non solo individuale. Questo è un nuovo inizio. Dobbiamo ripartire senza dimenticare ciò che è successo e ciò che è stato. 

Cristiana Paternò

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