8 Settembre 2020
Rosi: “‘Notturno’ è uno stato d’animo, quasi un nome di persona”
Rosi: "‘Notturno’ è uno stato d'animo, quasi un nome di persona”
VENEZIA – L’Impero Ottomano. La Prima Guerra Mondiale. Poi la notte. Ma anche la luce, perché Gianfranco Rosi (Leone d’Oro per Sacro Gra, 2013; nomination Oscar come Miglior Documentario per Fuocoammare, 2016), con Notturno ha l’intento di narrare e mostrare l’essenza vitale dell’essere umano “Come in un ‘Notturno’ di Chopin, anche qui l’oscurità è un pretesto, un’occasione per lasciar risuonare ciò che vive”, dichiara.
Notturno cammina e procede sul quasi costante silenzio, eppure accanto a sé le poche ma incisive sequenze in cui si possono ascoltare le voci, quelle delle madri che evocano i figli scomparsi in una sorta di litania che ha echi d’eternità, o quelle balbuzienti – proprio per trauma – di un bambino che racconta il proprio punto di vista di un’infanzia macchiata dal sangue; i disegni suoi e dei coetanei, mostrati in primissimo piano e da loro stessi raccontati, sono probabilmente i momenti più emozionanti del film perché i soli tratti espliciti delle matite colorate parlano più di qualsiasi altro commento o anche di una realistica immagine di guerra: “Mi viene in mente la stanza dei bambini nell’orfanotrofio, sono anime distrutte, non so che futuro possano avere: adesso la notizia positiva è che alcuni di loro sono in una comunità in Germania, forse è un passo. Il loro racconto spontaneo e libero ci mette a confronto con quello che è stato l’Isis. Non so se così la vita vinca, ma nel quotidiano cercavano anche loro la speranza. La stanza ricorda un po’ il Processo di Norimberga, ma un processo fatto da bambini. Non potevo nascondere il loro volto: prima di filmarli ho passato un mese e mezzo con loro, ho cercato di capirli, e non filmare il volto sarebbe stato ipocrita, sarebbe stato un nascondere. La cosa più difficile nella scena era trovare la distanza giusta per non essere violento, sono stato anche in dubbio se mettere la scena, ma penso sia necessaria a comunicare l’orrore. Filmarli credo fosse un atto dovuto, una testimonianza storica fondamentale, forse l’unica che esiste: i bambini hanno forza, verità, immediatezza, con coraggio l’abbiamo fatta e accettata”, dice l’autore.
Un documentario, non un reportage, anche se non è scontato parlare di documentario perché ci sono scene riprese e curate in maniera così sofisticata da possedere un passo estetico non usuale per questo tipo di linguaggio visivo: molte e suggestive sono le inquadrature in lungo e lunghissimo campo, che al contempo offrono sollievo emotivo e incanto per gli occhi, così la sequenza in cui un’anziana madre piange, stringendo nelle mani le fotografie del figlio che non c’è più nel nome della patria, scivolata a terra contro la parete della stanza spoglia e vuota di un carcere, dietro cui ammiriamo una fuga ripetuta di stipiti che crea un’architettura simbolica, oltre che di indiscutibile bellezza, soprattutto per la fotografia, curata dallo stesso Gianfranco Rosi, senza dubbio l’eccellenza di questo film: bellezza delle tonalità, di come sono calmierati luce e buio, di quanto i colori caldi davvero riescano a farsi sentire nel proprio ardere e quanto i freddi conferiscano serenità o paralisi. La fotografia di Notturno è sublime, quasi ogni inquadratura potrebbe essere una fotografia a sé stante, capace, senza nessun contorno, di emanare una propria potenza per la suggestione del colore, una sensibilità cromatica che marchia questo lavoro documentario sulla quotidianità dietro la tragedia senza fine di guerre civili, dittature feroci, invasioni e ingerenze straniere: siamo nel Medio Oriente, fra la riconquista di Mosul e Raqqa – strappate a Daesh nell’estate-autunno 2017 –, l’offensiva turca contro il Rojava curdo-siriano nell’autunno 2019, e l’omicidio a Baghdad – nel gennaio 2020, da parte statunitense – del generale iraniano Soleimani. “Quando giro non cerco la bellezza dell’immagine, cerco un racconto, cerco la complicità della luce, e quella delle persone: la luce trasforma lo spazio, che racconta storie differenti. La meteorologia e la luce fanno molto parte del mio lavoro e lì c’è l’attesa e riesco a farlo vivendo molto con i personaggi e ad anticiparli. Volevo prima girare di notte anche un po’ per protezione, ma andando lì non avrebbe avuto molto senso: la grande sfida era l’attesa delle nuvole, un modo per rimandare anche l’ansia. Volevo che le nuvole fossero un po’ come un coro greco; usare il rigore del cinema con l’autorità del reale, un dialogo tra luce e protagonista, in cui la verità sta nella distanza giusta che riesci a stabilire. Ho passato tre anni per cercare un racconto e un punto di vista, per cercare le persone che mi avrebbero accompagnato: tre anni che mi hanno cambiato profondamente e mi riesce ancora difficile elaborare. Sicuramente ho bisogno un po’ di staccarmi perché è stata un’esperienza di impatto emotivo e fisico forte, con una lingua che non conoscevo, con una situazione politica confusa. Mi rimane il profondo senso di amore, senza retorica, per le persone: spero il pubblico riesca a raccogliere il senso di vita delle persone, in cui il confine è quello tra vita e inferno. Spero rimanga il senso di profondità e universalità dei personaggi. Io con ciascuno di loro sono riuscito ad avere una fortissima identificazione e vorrei il film portasse uno sguardo sul Medio Oriente. Rimane questo senso un po’ di tutti di sospensione del futuro, molto forte nel finale sul primo piano di Alì, tredicenne, di cui ti domandi che futuro avrà, e per questo il film ha un’universalità. Non c’è una trama in questo film, sarebbe sbilenca: guardandolo come un doc ha una sua forza, sono storie che nel reale riescono a sopravvivere a tutto. La fiducia è fondamentale nel mio lavoro, tra me e il personaggio, e con chi guarda. Tutto quello che accade ha la forza del reale, penso alla necessità del racconto. Le cose nascono per caso, nell’attesa, e a volte appaiono e sono quello che cercavi, con lo sviluppo di una narrativa che è sempre una sorpresa”, spiega Rosi.
Ha girato il doc nel corso di tre anni, tra Siria, Iraq, Kurdistan, Libano: Notturno è un film che racconta la guerra senza mostrare la guerra. Rosi mostra gli effetti della guerra, sulle persone, mettendo in primo piano l’umanità, infatti “Notturno è un film politico, ma non vuole affrontare la ‘questione politica’”, afferma lui stesso, spiegando anche che “Il titolo Notturno è stato il primo pensato, di cui è rimasta la penombra nel film, anche se alla fine ho avuto ripensamenti, ma mi ero affezionato a Notturno, uno stato d’animo, quasi un nome di persona. Adesso che lo leggo stampato sulle locandine penso sia giusto. Anche all’estero vogliono mantenerlo così”.
Notturno partecipa alla Mostra in Concorso, ed è stato selezionato da Toronto Film Festival, Telluride Film Festival, New York Film Festival e, “ufficiale da oggi, anche a Londra, Pusan e Tokio: credo sia significativo per la profondità e universalità di questo film; Gianfranco è un artista straordinario allo stato puro” commenta Paolo Del Brocco, produttore per Rai Cinema.
“È stata una scelta naturale dopo Fuocoammare” – continua Rosi. “Dopo gli Oscar mi dicevo di trovare un altro progetto e ho avuto l’istinto di voler andare dall’altra parte del mondo. Ho scritto il film in due settimane e a giugno siamo partiti senza cinepresa, era importante assorbire e non filmare: tendo molto a dimenticare i film che faccio e ognuno è il primo film. Ogni situazione ti richiede un linguaggio, una comprensione, elementi narrativi, un modo di fare differente. Per me fare doc è trovare sintesi della vita: nel montaggio le storie potevano avere un altro corso, poi con i montatori – 5 mesi di montaggio – la sfida è stata capire quando lasciare una storia e agganciarti alla successiva, trovare la sintesi nel montaggio è stata una sfida, anche per unire i mondi separati di Siria, Libano… Ho voluto fare un film che fosse più una psico-geografia e la storia fosse portata avanti dai personaggi, soprattutto non conoscendo lingua, cultura, con le difficoltà di spostamento, il dover accamparci con le milizie: dopo tre anni io non capisco ancora le difficoltà del Medio Oriente, spero le persone diano uno spunto di comprensione”.
Dal 9 settembre Notturno esce in sala, distribuito da 01 Distribution e co-prodotto con il contributo di Istituto Luce Cinecittà: “Abbiamo fatto una selezione attenta e qualitativa di esercenti, pensiamo ne servano di preparati e con un pubblico preparato: uscirà su circa 80 schermi, ma i più preparati e belli d’Italia”, dichiara Luigi Lonigro, distributore.