9 Luglio 2021
‘Re Granchio’, un western di mare
‘Re Granchio’, un western di mare
CANNES – Una leggenda favolosa, una favola leggendaria. Il destino per una leggenda. Quella del Re Granchio di Alessio Rigo de Righi e Matteo Zoppis, in selezione alla Quinzaine des Realizateurs.
L’animo ribelle di Luciano, uomo agreste di fine Ottocento considerato “pazzo, nobile, santo, ubriacone…” e insofferente al potere locale, nella Tuscia di allora esercitato da un superbo principe, ne fa dipingere un soggetto apparentemente reietto.
Secondo la leggenda, come ricordano oggi i vecchi cacciatori cui è stata tramandata, Luciano s’infiamma un’ultima volta, per proteggere dal principe la donna che ama, Emma (Maria Alexandra Lungu, già interprete ne Le meraviglie), ma il suo agire lo costringe alla fuga, all’esilio nell’argentina Terra del Fuoco. Una fuga dolorosa per l’animo ma anche l’aprirsi di un potenziale prezioso, quello di un mitico tesoro, che Luciano si mette a cercare fianco a fianco di scriteriati marinai, innescando un andirivieni tra redenzione e ribollire di avidità e follia, complici anche le dimenticate lande della vicenda.
Rigo de Righi e Zoppis, il vostro laboratorio di idee si deduce sia una casina di caccia della Tuscia da cui lo spunto per il vostro Belva Nera, poi per il doc Il Solengo e ora per Re Granchio: qual è il valore aggiunto, l’incanto, il potere narrativo delle leggende che raccogliete in questo luogo e perché sono così adattabili al cinema?
Dentro questa casina, mentre si mangia, si narrano storie e sono racconti rari: noi abbiamo intrapreso un percorso insieme un pò per caso e siamo andati in questo posto, un pò come fosse una locanda di un film western, in cui apparivano personaggi pazzeschi, con loro delle storie altrettanto tali. Così è nato il primo film, poi il secondo, e il terzo si è intersecato con questo (secondo) perché pare che Luciano fosse il padre, o il nonno, del personaggio del film precedente. Nelle storie non c’erano dettagli e lì nasce in modo naturale l’evoluzione della finzione del cinema: ci siamo messi a fantasticare e poi a scrivere. L’idea era di partire da una storia orale, trasportata poi dall’altra parte del mondo e, nello spostamento, s’è allacciata con le storie della Terra del Fuoco, così questa nuova storia formava un’altra leggenda.
Il concetto di ‘leggenda’, in senso assoluto, fa parte anche del mondo Western, qui indubbia ispirazione, (nella desolazione dei luoghi, ma anche nelle prassi di certe dinamiche di relazione tra i personaggi): degli stilemi del ‘genere’ su cosa avete lavorato, e c’è stato qualche specifico riferimento cui avete guardato con interesse?
L’idea era di fare un Western che avesse un lungo prologo, come se fosse ‘il prima’, quello che nei classici western è un flashback, e poi farlo esplodere nel lungo viaggio. Noi volevamo fare un Western di mare, piratesco: nel luogo d’approdo ci sono anche un sacco montagne, ma la storia voleva essere un cammino di redenzione così le montagne portano certamente al punto più alto, più vicino alla luce…
E, come nel Western – lì spesso per sottrazione – anche voi avete fatto un peculiare uso delle musiche e del suono. Quale scopo doveva avere per voi la colonna sonora?
In genere non ci interessa molto una musica che sottolinei le emozioni, ma dev’essere più un contrappunto, che possa anche creare ambiguità rispetto all’azione o innescare domande, mentre in altri momenti ha proprio uno scopo narrativo; nella ricerca, alcune canzoni popolari, a seconda del luogo, cambiavano testo e alcuni di questi testi sembravano esattamente la nostra storia, quindi noi abbiamo lavorato anche su questo aspetto, sulla riscrittura di alcune canzoni popolari, che sono state un grande spunto, con un grande lavoro da parte del musicista Vittorio Giampietro, che oltre ad aver composto le musiche originali ha anche registrato ex novo questi canti popolari.
Nel film si racconta un viaggio epico, da Vejano alla mitica Terra del Fuoco, di cui però la leggenda orale non era dettagliata: la ricerca d’archivio per costruirne la narrazione cosa ha comportato, quanto c’è di riconducibile al reale e quanto alla fantasia?
Il film è molto romanzato, è molto fantasioso. Di vero c’è Luciano, una persona del paese che aveva commesso un fatto, anche poco chiaro, e che poi era stato esiliato. Dentro alla nostra storia poi rientrano il cinema, la letteratura, i racconti popolari, la magia, a partire dalle ricerche fatte sulla Terra del Fuoco, le storie dei migranti italiani approdati lì, degli avventurieri. Di latino-americano c’è molto e il film è sempre stato impostato come un dialogo tra la prima parte e la seconda, oltre alla reale co-produzione con la stessa Argentina.
Per Luciano, Gabriele Silli – non un attore ma un artista – ha ‘costruito’ il personaggio ‘come fosse una scultura’ dichiarate: cosa significa esattamente e come è stato dunque ‘scolpito’, plasmato il personaggio, che sembra avere anche echi cristologici?
Gabriele ha lavorato tantissimo con noi, abbiamo costruito il personaggio negli anni, come diciamo un pò ironicamente la testimonianza è la sua barba. Il personaggio l’ha proprio scolpito nel fisico: fisicamente è cambiato, anche caratterialmente; una cosa interessante è che abbiamo ‘cercato’ di definire Luciano fino alla fine, fino al doppiaggio, perché Gabriele stesso aveva individuato altri aspetti di questo soggetto, in fondo alieno in un paese di nobili e contadini, in cui lui si collocava al centro, spaesato. Gabriele è un artista plastico, è anche uno scultore: si è auto-scolpito.
Completa la coppia la volitiva Emma, Maria Alexandra Lungu, una personalità decisa, non certo una spalla. Nella leggenda questa figura vi è stata narrata così come la restituite, oppure che tipo di lavoro avete fatto anche con l’attrice?
Si può dire che ce l’abbia restituita Alexandra: noi abbiamo immaginato questo personaggio, di cui c’era un eco d’amore nella leggenda, che poi noi abbiamo costruito. Il film vuole essere una storia d’amore: lei ha nutrito molto il personaggio, da quando l’abbiamo conosciuta è stata fonte di ispirazione anche per la scrittura, per la genuinità e la forza del carattere.
Il film, il primo di finzione per la coppia Rigo de Righi e Zoppis, è una co-produzione Italia-Argentina-Francia, che ha comportato circa quattro anni di realizzazione: prodotto Ring Film e Rai Cinema, distribuito Istituto Luce Cinecittà.