1 Settembre 2021
Pietro il grande torna a casa
Prodotto da Luce Cinecittà - che ha rilevato il lascito di Pietro Coccia - e dalla Agnus Dei di Tiziana Rocca, Pietro il grande ci offre una carrellata emozionante
VENEZIA – Pietro torna a casa. Alla Mostra del cinema. In quello che è sempre stato il suo paradiso, ovvero il suo festival preferito. Il fotografo del cinema italiano, l’instancabile viaggiatore sempre con la valigia in mano, la giacca sgualcita e le macchine fotografiche a tracolla, morto all’improvviso e prematuramente a giugno del 2018, rivive nell’omaggio emozionato che Antonello Sarno gli ha dedicato con Pietro il grande.
Un cortometraggio che in dieci minuti ripercorre un bel pezzo della nostra storia di appassionati di cinema attraverso gli scatti rielaborati e commentati dalle musiche di Trovajoli (La famiglia), Ortolani (Il sorpasso) e le canzoni di Lucio Dalla e Gianni Morandi (Felicità), Anne Shelton (Souvenir d’Italie), Emma Marrone (Arriverà l’amore) e Ti saluto ragazzo cantata da Ornella Vanoni, un brano che sembra fatto apposta per salutarlo senza retorica ma con un tuffo al cuore.
Il film breve sarà presentato alla Mostra il 2 settembre con una proiezione speciale fuori concorso già tutta esaurita. Prodotto da Luce Cinecittà – che ha rilevato il lascito di Coccia, milioni di fotografie in tutti i formati – e Agnus Dei di Tiziana Rocca, Pietro il grande ci offre una carrellata di circa 400 scatti. “Quando Pietro è scomparso, all’improvviso, da solo, a casa sua, appena rientrato da Cannes 2018, ho pensato immediatamente di rendergli un omaggio approfittando del mio know-how di documentarista sul cinema”, sottolinea Sarno. “Essendo scomparso all’improvviso, come fossimo all’inizio di un mistery purtroppo reale, Pietro ha lasciato una quantità enorme di fotografie, stampe, diapositive, scatti digitali, computer densi di immagini ma senza password. L’amicizia con Pietro, che risale ai banchi di scuola, al Giulio Cesare di Roma, imponeva di affrontare la sfida: guardare decine di migliaia di foto per sceglierne le poche centinaia che sarebbero entrate nel documentario”.
Tiziana Rocca ha subito aderito al progetto: “Pietro è stato per me una persona importantissima e ora vorrei che il film diventasse vagabondo come lui, andando in tutti i festival del mondo”. Tra le immagini tanti divi e anche un Libero De Rienzo che fotografa a sua volta Pietro sorridendo o una inedita Raffaella Carrà seduta al cinema da sola perché era arrivata con grande anticipo a un’anteprima, ma anche Tom Cruise e Johnny Depp a inizio carriera.
Sarno sottolinea come le foto scelte tra una miriade siano testimonianza di varie fasi della carriera di Coccia: “prima paparazzo romano, quindi inviato ai grandi festival e persino agli Oscar. Ma sempre semplice e senza interesse economico. Il suo ultimo scoop, il baciamano tributato a Lina Wertmuller da Leonardo Di Caprio, non pensò neppure a venderlo, ma lo regalò inviandolo a tutti. Ecco come ricordo il suo talento generoso, passionale, istintivo e disordinato”.
Per Nicola Maccanico, ad Cinecittà, il film vuole “celebrare attraverso Pietro il cinema nella sua essenza, la passione profonda che muove le attività e le idee. Lui ne aveva fatto un’estensione della sua famiglia. I viaggi erano il suo mondo. Era un essere umano con una sensibilità fuori dal comune e il corto scalda il cuore di chi lo ha conosciuto”. Roberto Stabile (Anica e presidente Lucana Film Commission) si impegna a far circolare il corto ovunque: “Era un artista con un cuore enorme e ciascuno di noi l’ha conosciuto in un modo unico perché era diverso con ognuno di noi”. Laura Delli Colli, presidente Sngci, interviene per ricordare come Pietro sia stato il primo fotografo che si è iscritto al sindacato giornalisti. “Oggi, se fosse qui, starebbe in piedi, in disparte, con la voglia di correre a lavorare e poi direbbe: ma sì, facciamo cose belle”. Infine interviene il fratello, Benedetto Coccia: “Sarno ha guardato un insieme caotico e confuso con milioni di negativi, diapositive, stampe e digitali. La fotografia per Pietro non era lavoro, ma una passione vissuta con immutabile slancio adolescenziale, senza pensare né al successo né al denaro. Ed è giusto che il suo archivio sia conservato a Cinecittà, perché il Luce rappresenta l’album di famiglia dell’Italia”.