2 Dicembre 2021
Giovanna Marini, una voce e tante storie
Giovanna Marini con la sua voce inconfondibile e le sue storie antagoniste è protagonista del TFF grazie al documentario Giovanna, storie di una voce di Chiara Ronchini, prodotto da Luce Cinecittà
TORINO – Giovanna Marini con la sua voce dal timbro inconfondibile e le sue storie potenti e antagoniste messe in musica da sempre è protagonista del Tff grazie al documentario Giovanna, storie di una voce di Chiara Ronchini. Prodotto da Luce Cinecittà con materiali dell’Archivio Luce come pure di AAMOD, con il montaggio di Luca Onorati e Chiara Ronchini, ripercorre la vita della musicista che dal 1958 compone, raccoglie e (re)interpreta canti di tradizione orale, mettendo al centro le classi lavoratrici e narrando tante vicende del nostro Paese, dalle lotte operaie all’omicidio di Pasolini alla strage di Ustica. Dischi che all’inizio vendevano 20 copie per poi trovare un pubblico nelle case del popolo e nei dopolavoro, canzoni che hanno dato alla cultura orale, alle classi senza diritto di parola, a minatori e operai, braccianti e mondine, una cittadinanza artistica robusta. E’ un’Italia povera e pagana, un’Italia spesso periferica e disattesa, ma orgogliosa delle sue tradizioni, ribelle, comunista, non riconciliata.
Come ribelle è Giovanna. “Tutti cercano un sostantivo per definirmi – dice Giovanna Salviucci (Marini è il cognome da sposata), nata a Roma nel ’37 in una famiglia di musicisti – io mi considero una cantastorie, ma di certo non una ricercatrice, anzi molti brani che venivano attribuiti alla tradizione popolare li ho composti io”.
Ronchini, che usa il footage come strumento di riflessione politica, antropologica e culturale sulla contemporaneità, annovera tra i suoi lavori, insieme a Steve Della Casa, Bulli & pupe, una storia sentimentale degli anni ’50 (2018) e Nessuno ci può giudicare (2017), vincitore di un Nastro d’Argento. La sua prospettiva è apertamente e dichiaratamente femminista: “Il mio punto di vista è sempre quello della parità, anche se non voglio mettere il film in una nicchia”. E qui a Torino ha aderito a The Purple Meridians, progetto realizzato da Streeen (Italia) in partnership con l’Osservatorio OVNI (Spagna) e l’Associazione Rosa Kadın Derneği (Turchia), con il sostegno di Gender Equality Sponsorship per il 2021 di Eurimages. Nel film affronta dunque con piena consapevolezza il ritratto di una donna protagonista delle lotte politiche e culturali del Novecento e ancora oggi attiva.
Tra i fondatori del Nuovo Canzoniere Italiano, insegnante di musica (con la Scuola popolare di Testaccio), compositrice che usa la voce umana come strumento musicale (del suo Quartetto fanno parte Flaviana Rossi, Patrizia Rotonda e Michele Manca). Tra le sue opere anche il Lamento per la morte di Pasolini o La ballata di Ustica.
Ronchini ha trovato un’immediata sintonia con Giovanna. “È facile comunicare con lei, è molto aperta, una affabulatrice, sa comunicare la sua ricerca e il suo lavoro. Ha costruito un atlante diverso della storia del nostro paese. Soprattutto non voleva essere chiusa nel ruolo di etnomusicologa, ma che venisse fuori l’artista. In Francia questo le è riconosciuto, in Italia meno”. E ancora: “Lavorando con gli Archivi mi chiedo come utilizzare i materiali. Negli archivi ti rendi conto che non esiste una memoria univoca ma tante memorie, tanti punti di vista. Il lavoro di Giovanna è stato tutta la vita provare a proporre un diverso punto di vista. Nel canto popolare il rito si sposta sul palcoscenico”. Giovanna, storie di una voce sarà in sala con Luce Cinecittà nel 2022 accompagnato in tour dalla protagonista, che qui a Torino si è esibita in concerto all’Hiroshima mon amour.
Giovanna Marini, uno degli aspetti sottolineati dal documentario è il senso rivoluzionario dell’uso del dialetto in un’Italia degli anni ’60 dove erano quasi proibiti.
Il mio lavoro sottende la conoscenza dei dialetti che sono tanti e spesso sono vere e proprie lingue. Ricordo che quando ero in Salento a cercare canti non capivo perché parlavano il griko, che è una lingua a sé, così come il friulano o il sardo. Può essere un muro, ma è anche ricchezza. Però nel termine dialetto è implicita una diminuzione.
All’inizio degli anni ’60 lei entra in contatto con intellettuali come Pier Paolo Pasolini e Italo Calvino (a sua volta anche autore di testi di canzoni per Cantacronache), Roberto Leydi, Gianni Bosio, Diego Carpitella, Alberto Mario Cirese, Cesare Bermani, Giulio Angioni e Alessandro Portelli. Cosa ricorda dei suoi inizi?
Quelli di Cantacronache sono i nostri fratelli maggiori e il legame è molto forte. Emilio Jona ha 93 anni ed è lucidissimo, credo che verrà a vedere il documentario qui al TFF. Ho sempre guardato al loro mondo con ammirazione. Già dalla fine degli anni ’50 avevano fatto ricerche importanti, anche in Spagna sotto il franchismo. Il gruppo torinese era formato da gente particolarmente brillante, tutti in opposizione alla società italiana. Erano persone che cercavano di capire il perché di ogni cosa. Io e Ivan Della Mea eravamo più giovani e attivi a Roma e Milano, ma i torinesi sono stati il nostro liquido amniotico.
Lei ha collaborato molto con Paolo Pietrangeli, da poco scomparso.
Paolo era una persona sorprendente. Veniva dal mondo cinematografico romano; suo padre era un regista, conosceva bene Scola. Si è associato al gruppo dei cantori. Aveva una duttilità straordinaria, ha scritto canzoni bellissime, anche più di Contessa, che però ha bucato, la cantavano tutti, non solo in Italia, ma anche a Parigi tra gli studenti in sommossa. Dotatissimo musicalmente, era però ignorante in musica come tutti questi cantori. Perché la borghesia italiana di allora non voleva il figlio musicista. Ho visto tanti bambini pieni di talento che non venivano mandati a studiare musica.
Perché non le piace da definizione di ricercatrice ed etnomusicologa?
Perché mi considero piuttosto un’inventora. Mi sono inventata canzoni dicendo che le avevo trovate in montagna in Abruzzo. Spacciavo cose inventate per cose trovate e in un mondo di creduloni le prendevano per buone. Piano piano sono maturata. Ma ricercatrice non sono mai stata.
Qual è il valore della memoria nella sua opera?
La memoria ci permette di vivere meglio. Porta informazioni continue che devono essere vagliate. Bisogna ricordare bene: come mai io so una cosa, chi me l’ha raccontata? Io la sera non riesco a dormire se non ho risistemato tutto. Mi faccio mille domande.