Distribuzione

21 Gennaio 2022

PerdutaMente: Ruffini racconta l’Alzheimer

Uscita evento il 14, 15 e 16 febbraio con Luce Cinecittà per un film che tocca i confini di un mondo complesso: quello dell’Alzheimer

Arriva nelle sale italiane con un’uscita evento per il giorno di San Valentino, il 14 febbraio, PerdutaMente, con cui Paolo Ruffini, attore, autore e regista popolare in cinema, tv e teatro, in coregia con Ivana Di Biase, torna a toccare un tema di particolare impatto sociale, con un modo profondo e insieme leggero e disincantato, per raggiungere una conoscenza e un coinvolgimento del pubblico più ampio possibile. Un modo già sperimentato con grande eco del precedente ‘Up&Down’, e che in PerdutaMente tocca i confini di un mondo complesso: quello dell’Alzheimer.

In questo nuovo lavoro, Ruffini si mette in viaggio per l’Italia alla ricerca di incontri, esperienze, confronti con persone affette dall’Alzheimer, e con chi se ne prende cura: parenti, amici, affetti. Quello che emerge, sorprendente e irrefrenabile, non è un racconto di malattia, ma è un racconto d’amore. Di un amore come cura, e non di chi è colpito dall’Alzheimer, ma di chi è vicino ai pazienti. In una stagione in cui ogni giorno e a ogni ora parliamo di ‘contagio’, il documentario ci racconta contagiandoci storie di un’Italia nascosta, colpita da un male, e allo stesso tempo colpita da una reazione straordinaria all’altezza del cuore. PerdutaMente è prodotto da Prodotto da Paolo Ruffini e Nicola Nocella per Vera Film, e Antonino Moscatt e Angelisa Castronovo per Well See, in collaborazione con la Fondazione Polli Stoppani e con il contributo di Roberto Cavalli. Arriva in uscita evento il 14, 15 e 16 febbraio, distribuito da Luce Cinecittà, e vedrà gli autori coinvolti in numerose presentazioni con il pubblico, tra cui Roma, Torino, Milano, Bologna, Firenze e Livorno. ( ELENCO SALE e appuntamenti in sala con i registi )

Il morbo di Alzheimer è una malattia neurodegenerativa che colpisce il sistema nervoso centrale, determinando decadimento fisico e cognitivo, perdita della memoria, della coscienza e della percezione del sé e della realtà. Paolo Ruffini attraversa l’Italia per intervistare persone affette dalla malattia di Alzheimer e i loro familiari, definiti “seconde vittime” dell’Alzheimer, che si trovano ad affrontare un carico fisico ed emotivo enorme accompagnando i propri cari attraverso il doloroso cammino della malattia. Dalla malattia di Alzheimer, ad oggi, non è possibile guarire, tuttavia è possibile curarla, nel senso di “prendersi cura” di chi si ama, e l’unica cura possibile è l’amore. Il centro narrativo del documentario non è la malattia, ma le emozioni e i sentimenti che legano i pazienti ai propri cari. Attraverso le interviste si raccontano diverse storie d’amore, e soprattutto diverse dimensioni dell’amore: quello tra compagni di vita, tra genitori e figli, nonni e nipoti, tra fratelli e sorelle. In questo viaggio, tra storie e sentimenti, mentre la memoria della realtà viene progressivamente sgretolata dalla malattia, resta invece la memoria emotiva che rappresenta l’unico legame che i pazienti conservano con la vita che li circonda. 

“Prima di iniziare questo viaggio sapevo poche cose sul morbo di Alzheimer: che è una malattia crudele, misteriosa, e legata alla perdita della memoria. Ma questo era “prima” – racconta Paolo Ruffini –  Esiste sempre un prima e un dopo in un’avventura, e in qualche modo questo film li definisce. Prima credevo, banalmente, che perdere la memoria significasse dimenticare le cose e i loro nomi, le persone, i volti, la dimensione del tempo. Già solo questa percezione, così superficiale, bastava a dare la portata del vuoto, della paura, dell’oblio. Durante il percorso ho compreso che Alzheimer significa molto più di questo, perché la memoria non è semplicemente una scatola che contiene informazioni. È più come un diario, che ciascuno di noi riempie, un giorno alla volta nel corso di una vita intera, e oltre ai dati di realtà, custodisce emozioni, ricordi, sentimenti. La memoria è un documento dell’identità personale, della propria storia, ma più di tutto della propria coscienza. Noi siamo la nostra memoria, e perderla significa perdere sé stessi. Significa abitare un corpo senza esistere. Questa consapevolezza è stata solo una delle tappe del viaggio che ha disegnato questo film. Attraversando l’Italia ho avuto il privilegio di entrare nelle case di persone sconosciute e straordinarie, che hanno condiviso con noi le loro storie. Storie di vite fuori dal comune, storie segnate dall’Alzheimer, storie di dolore e disperazione, ma soprattutto storie d’amore. La traccia seguita, nel corso di questa indagine, è stata la differenza tra cura e guarigione. Quello che ho imparato è che dal morbo di Alzheimer non è possibile guarire, ma è possibile curare, se non la malattia, la persona, proprio con l’amore. La prima domanda, posta nel corso della prima intervista, è stata: “Che cosa significa prendersi cura di un malato di Alzheimer?”. La risposta che ho ascoltato, senza esitazione nella voce di Franco, è stata: “Amare”. È l’amore il protagonista di questo film, non la malattia. L’amore della persona malata, che non sa più chi sei ma sa di amarti. E l’amore della persona che si prende cura del malato, che ama senza condizioni, senza risposte, nel modo più disperato in cui si possa amare: Perdutamente”.

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