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5 Ottobre 2015

Mario Monicelli a San Paolo

Il centenario di Mario Monicelli festeggiato dal 22 ottobre al 4 novembre alla 39a Mostra Internacional de Cinema di São Paulo del Brasile, con una rassegna di classici da lui diretti presentata in co

Con una selezione di classici diretti da Mario Monicelli la 39a Mostra Internacional de Cinema di São Paulo del Brasile celebra il centenario del nostro grande regista. L’omaggio è centrato sul suo fertilissimo periodo iniziale, tra anni Cinquanta e Sessanta. A partire da Vita da cani, codiretto assieme a Steno, un ritratto affettuoso del sottobosco del teatro di rivista itinerante. Con I soliti ignoti, parodia in chiave realistica e innovativa dei film di rapine, Monicelli lancia a livello mondiale il genere “commedia all’italiana”. Il successo fenomenale de I soliti ignoti – rifatto in seguito varie volte da altri registi – spinge Monicelli ad affrontare La grande guerra, un’epopea coraggiosamente anticonvenzionale sulla prima guerra mondiale. Il film ottiene il Leone d’oro alla Mostra di Venezia (ex aequo con Il generale Della Rovere di Roberto Rossellini). Con Risate di Gioia Monicelli trascina nella caotica “dolce vita” notturna romana la popolare coppia Anna Magnani e Totò. Al duttile “alter ego” Marcello Mastroianni Monicelli offre il ruolo autoironico di Casanova ’70, una commedia erotica e sofisticata che conferma il boom internazionale del cinema italiano. (Lorenzo Codelli)    
 
VITA DA CANI, 1950
Regia di Steno e Mario Monicelli
“Aldo Fabrizi aveva un grande successo, fin dai tempi di Campo de’ Fiori, de L’ ultima carrozzella, proveniva dal teatro di varietà. Grazie a lui in Vita da cani riuscimmo a trattare del mondo dell’avanspettacolo che c’interessava molto. Fabrizi collaborò alla sceneggiatura perché aveva moltissimi aneddoti e ricordi personali. Lui in Vita da cani rifà un po’ se stesso e un po’ s’ispira ad altri attori più o meno noti che non avevano avuto fortuna. Collaborò anche Sergio Amidei che conosceva bene quel mondo. Quando lo facemmo non sapevamo che Alberto Lattuada e Federico Fellini stavano girando Luci del varietà, né loro sapevano del nostro film. Il varietà era una miniera che è stata poco sfruttata. Così come adesso chissà quanto ci sarebbe da dire del cabaret. La Lollobrigida e la Pampanini erano delle vincitrici di concorsi di bellezza. Il pubblico e i produttori avevano fame di belle ragazze, e loro lo erano veramente. Dalla Mangano, alla Bosè, alla Lollobrigida, alla Gianna Maria Canale, alla Loren, venivano tutte fuori dai concorsi di bellezza. Appena ce n’era uno, tutti correvano ad accaparrarsi le miss che poi si buttavano dentro a un film. Tanto loro non avevano niente da fare: il film eracdi Totò, vicino aveva una bella donna e tutto finiva lì. Si spogliavano un po’, per quello che era possibile, o facevano una passerella. La Lollobrigida era già una piccola vedette e la scegliemmo per Vita da cani anche per questo motivo. Era un film con tre storie intrecciate, quindi avevamo bisogno di tre donne, la Lollobrigida, Tamara Lees, un’attrice inglese, e Delia Scala, che era una ragazzina molto scattante e brillante. La lavorazione dei film di Totò durava tra le cinque e le sei settimane. Vita da cani, che era un po’ più complesso, dovette arrivare alle sette settimane. Quella era la media generale, anche perché allora i film erano più corti di oggi, un’ora e venti, massimo un’ora e mezza. Le due ore erano una follia: come La terra trema di Visconti che sembrava un film sterminato”.
(Mario Monicelli*)

I SOLITI IGNOTI, 1958
“Sia Age e Scarpelli che io eravamo ritenuti, all’epoca, degli autori di film di serie inferiore. I soliti ignoti segnò la svolta: ebbe un grosso successo anche di critica, per cui la nostra reputazione cambiò. L’occasione de I soliti ignoti nacque in maniera bizzarra: Cristaldi aveva prodotto Le notti bianche di Visconti, e il film aveva richiesto la costruzione a Cinecittà d’una grande scenografia che rappresentava tutto un settore del quartiere di Livorno chiamato Venezia. Allora lui chiese a me e ad Age e Scarpelli – il trio che faceva filmetti a poco prezzo che incassavano bene – se ci veniva in mente qualche idea per sfruttare quella costruzione che era costata molto e nella quale, con qualche piccola trasformazione, si poteva girare un secondo film. Siccome quel quartiere Venezia era un ambiente povero e sottoproletario, pensammo vagamente di mettere insieme una storia di poveri ladruncoli. Poi successe che quella scenografia fu smantellata e l’occasione cadde. Perciò fummo più liberi nell’inventare il soggetto. Partì anche come una parodia di Rififì di Jules Dassin: infatti tra i vari titoli che gli volevamo dare ci fu persino un Rufufù. Mentre in Rififì c’era un colpo attuato in maniera magistrale, con grande precisione, noi volevamo mostrare una banda di cialtroncelli che tentava un colpo più grosso di loro e falliva. Lo facevano nell’esaltazione per i film americani che vedevano: Giungla d’asfalto ecc. L’intoppo arrivò quando m’incaponii nel volere come protagonista Vittorio Gassman. Era molto noto come attore di teatro, ma al cinema lo era soprattutto per i ruoli di vilain. Pensare di fare un film comico con Gassman era una follia! Impiegammo un anno prima di metterlo in piedi. Nel film ci fu un’altra novità: l’ambientazione in una Roma di borgata, tutta grigia e anonima”.
(Mario Monicelli*)

LA GRANDE GUERRA, 1959
“Quando portai a Dino De Laurentiis il soggetto de La grande guerra, scritto da Luciano Vincenzoni, lui, con la sua mania del gigantismo  s’innamorò del film. L’idea di mettere assieme Gassman, il nuovo comico del momento, e Alberto Sordi, che ormai era un grosso nome, lo eccitò enormemente. Dell’evento della Grande Guerra volevo dare l’idea – in collaborazione con Mario Garbuglia, che era lo scenografo – di una specie di grossa pentola in ebollizione, da cui ogni tanto veniva fuori un personaggio; una massa amorfa di umanità, di soldati, di operai, di braccianti, sbattuti nelle trincee in mezzo al fango, lungo i tratturi, da cui uscissero fuori qua e là dei tipi, dei momenti. Alla fine la presenza di Sordi e di Gassman ha fatto sì che tutto questo non avvenisse, almeno nella misura in cui io lo volevo. Ci fu poi una grossa diatriba con De Laurentiis e con i distributori, perché il film finiva in una maniera drammaticissima: la fucilazione dei due protagonisti, dei due comici! Volevano che finisse con la loro liberazione, col trionfo degli eroi”.
(Mario Monicelli*)  

RISATE DI GIOIA, 1960
“Risate di Gioia era all’origine una sceneggiatura rifiutata da Luigi Comencini, che mi dette da leggere Suso Cecchi d’Amico. Mi piacque l’idea di questa protagonista in giro per tutta una notte, e anche l’idea di lavorare con la Magnani. Mi garbava anche il fatto che il film avesse una unità aristotelica, perché durava il tempo reale; lo dovevamo girare tutto di notte – infatti girammo per 40 notti consecutive. Anche per Risate di Gioia ebbi da lottare. Alla Magnani piaceva il film; era il personaggio di una povera comparsa di Cinecittà che voleva vivere una bella notte di Capodanno, e poi veniva invitata ad una festa soltanto perché erano in tredici; si accorgeva infine della scarsa considerazione in cui era tenuta e finiva con un altro relitto di Cinecittà, interpretato da Totò. La Magnani non voleva come partner Totò, perché secondo lei declassava il film. Tenni molto duro, e finalmente accettò, ma con molta riluttanza. Rivisto adesso il film è piuttosto insolito. C’è un Totò straordinario, più della Magnani. Ci fu poi la piccola scoperta di Ben Gazzara, un ragazzotto italo-americano che avevo visto in un film americano e che feci venire per il personaggio di piccolo magnaccia che la protagonista segue a scapito di Totò”.
(Mario Monicelli*)  

CASANOVA ’70, 1965
“Carlo Ponti aveva un soggetto di Tonino Guerra su una specie di psicopatico: un personaggio per Mastroianni, che aveva allora un grande successo internazionale; la storia di un uomo piacente che però per amare aveva bisogno di trovarsi in pericolo. Così con Tonino Guerra concepimmo una serie di incontri, di episodi cioè, di questo personaggio con varie donne, e ne venne fuori Casanova ’70. Nel film debuttò come attore Marco Ferreri, che fece la parte di un bieco marito che preparava una trappola mortale per Mastroianni e nella quale rimaneva lui stesso incastrato grottescamente. Il film era divertente perché c’era una certa smitizzazione del latin-lover, girato in posti piuttosto belli, alla Malcontenta, nelle Puglie, a Parigi, ed ebbe molto successo”.
(Mario Monicelli*)  

* Dichiarazioni tratte dal volume: Mario Monicelli, L’arte della commedia, a cura di Lorenzo Codelli, prefazione di Tullio Pinelli, Dedalo Libri, Bari, 1986.  


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