Cinecittà

19 Gennaio 2018

Al Trieste Film Festival ‘Non ne parliamo di questa guerra’

Il regista Fredo Valla rende omaggio e memoria a quelli che sono forse i protagonisti meno rituali del conflitto: gli uomini (e le donne) che vi si opposero dall’interno e al fronte

Arriva in prima visione al Trieste Film Festival (martedì 23 gennaio alle ore 20.00) negli Eventi speciali, Non ne parliamo di questa guerra, il nuovo film documentario di Fredo Valla, autore di documentari storici, sceneggiatore di un film culto come Il vento fa il suo giro e di Un giorno devi andare. Dopo le tante, doverose celebrazioni e riflessioni degli ultimi anni sulla Prima Guerra Mondiale, Valla rende omaggio e memoria a quelli che sono forse i protagonisti meno rituali del conflitto: gli uomini (e le donne) che vi si opposero dall’interno e al fronte, con la disobbedienza, la rivolta, la diserzione.Un racconto duro, in cui l’Italia ha un ruolo di triste primo piano, con migliaia di processi istruiti, e centinaia di esecuzioni capitali. Una storia di negazioni, fatta di ordini non eseguiti, processi ingiusti, lettere censurate, libri di storia mai scritti.

E’ un racconto commovente, fatto di canzoni antiche e rare, fotografie e filmati d’archivio inaspettati (provenienti tra gli altri dall’Archivio Luce e da quello dello Stato Maggiore dell’Esercito), testimonianze di storici noti come Bruna Bianchi e Marco Revelli, e di esperti di storia locale capaci di narrare come davanti a un fuoco.Pezzi di teatro e di letteratura, proclami ufficiali e messaggi nascosti dentro cartoline, prigioni asfissianti e paesaggi incantati. Per ricordare e riflettere su quelle migliaia di ragazzi che cent’anni fa non accettarono quello che oggi per Costituzione ripudiamo. Un paradosso terribilmente attuale, presente come le tante guerre in cui è coinvolta tutti i giorni la nostra speranza di pace.Non ne parliamo di questa guerra è una produzione Nefertiti Film, prodotto da Nadia Trevisan, in associazione con Istituto Luce Cinecittà, con il sostegno del Fondo per l’Audiovisivo del Friuli Venezia Giulia, Film Commission Torino Piemonte-Doc Film Fund e Film commission del Friuli Venezia Giulia.

“La giustizia di guerra nel primo conflitto mondiale è un tema sottovalutato nelle sue dimensioni e nella sua crudeltà- si legge nelle note di regia – L’Italia, in particolare, detiene il triste primato per la ferocia con cui punì i propri soldati. Provati dalla vita di trincea, traumatizzati dalle bombe e dalla morte sempre in agguato, decimati in assalti suicidi, esasperati dagli errori di comando e da tante inutili battaglie per una causa che sentivano lontana, molti dissero NO e disertarono, si ribellarono, compirono atti di autolesionismo pur di non tornare a combattere. Le carte conservate negli archivi, e raramente pubblicate, dicono che non fu un fenomeno isolato: in Italia, dal 1915 al 1918, 1 soldato su 14 subì un processo penale, 1 su 24 venne processato per diserzione. È questo il tema che il film porta alla luce. Lo fa negli anni delle celebrazioni della Grande Guerra, con toni leggeri e con commozione, intrecciando alle canzonidi guerra e di rivolta, le testimonianze degli storici; alternando l’emotività di alcune piéces teatrali al linguaggio algido e burocratico dei documenti della giustizia militare che parlano di fucilazioni, di decimazione, di pene abnormi.Non ne parliamo di questa guerra intreccia storie di uomini che giuntial limite estremo delle loro forze non vollero più obbedire e per questo furono giustiziati, disonorati, considerati vigliacchi e perciò cancellati dalla Storia. Quegli uomini oggi meritano il nostro rispetto. ‘Storie di disobbedienti, di uomini contro, di contadini, di fanti, “santi maledetti” come li chiamò Curzio Malaparte nel suo celebre atto di accusa contro chi aveva diretto la guerra. Erano contadini per lo più, abituati a ubbidire. Avevano affrontato la guerra così come si affronta un cattivo raccolto, una grandinata, una carestia, sostenuti dai valori di una cultura che predicava perseveranza, laboriosità, rispetto delle gerarchie. Seppero infine disubbidire e la loro “disobbedienza” oggi è un valore da ricordare”.


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