Cinecittà

22 Ottobre 2018

Muse e dei: sguardo femminile su Antonioni, Risi e Scola

Passa oggi alla Festa del Cinema il doc di Gianfrancesco Lazotti che raccoglie il punto di vista su tre grandi maestri del nostro cinema delle muse che li hanno ispirati

Passa oggi alla Festa del Cinema il documentario Muse e dei di Gianfrancesco Lazotti, produzione Surf Film -Roma Tikkun Productions (Parigi), in associazione con Istituto Luce Cinecittà, in collaborazione con Stefano Libassi per la Movietime e distribuita da Luce Cinecittà stessa, che raccoglie sguardi su tre grandi maestri del nostro cinema, Risi, Scola e Antonioni, dal punto di vista delle muse che li hanno ispirati.

Tra le interpreti presenti nel film, con nuove interviste o materiale d’archivio, Ornella Muti, Alessandra Panaro, Catherine Spaak, Fanny Ardant, Isabella Ferrari, Giovanna Ralli, Stefania Sandrelli.

“Due ragioni mi hanno spinto a realizzarlo in questo modo – dice il regista – la prima è che sul cinema di questi autori è stato detto veramente di tutto. Ho pensato che la cosa più interessante fosse parlare di loro, più che del loro lavoro, che ormai tutti conoscono dato che si può trovare in ogni cineteca. La seconda ragione, per quanto riguarda specificamente lo sguardo femminile, è che le donne hanno una capacità particolare di cogliere elementi e sfumature che agli uomini sfuggono, e possono dire cose che un uomo non direbbe”. Se ne trovano, nel documentario, tanti esempi: “Giovanna Ralli – continua Lazotti – definisce Scola ‘un gran paravento’. Lo dice con una grande simpatia e si capisce quanto gli volesse bene, ma un uomo non lo avrebbe mai potuto dire parlando di un maestro come lui. Spaak definisce Risi un po’ vanitoso. E’ uno sguardo anche estetico se vogliamo, non è gossip. Detto da un uomo suonerebbe in maniera diversa, risulterebbe frivolo”.

Sul lavoro di ricerca e montaggio Lazotti specifica: “Naturalmente bisogna fare i conti con il mercato e con la realtà. Avrei voluto usare alcuni spezzoni che non ho potuto usare perché avevano costi esorbitanti, ma di contro ho avuto l’aiuto di Roberto Cicutto e dell’Istituto Luce che mi ha permesso di contare su un archivio immenso. Dino Risi dice di aver raccontato l’Italia del dopoguerra e del boom. C’è l’imbarazzo della scelta su quello che si può fare. Dunque ho privilegiato questo genere di contributi, con il fascino del bianco e nero, rispetto alle clip dei film che dopotutto conosciamo a memoria”. Il film fa parte di un progetto molto più ampio.

“A livello europeo – specifica l’autore – Oltralpe stanno realizzando tre documentari su Bunuel, Chabrol e, credo, Resnais. Ci auguriamo sia solo l’inizio. Di autori interessanti ce ne sono tantissimi. Naturalmente c’è il problema del tempo che passa. Ad esempio per Antonioni non abbiamo potuto usare Lucia Bosè né Monica Vitti – presente comunque con interviste d’archivio – abbiamo scelto altre donne autorevoli che non fossero attrici, come Caterina D’Amico, che lo conosceva per la collaborazione con lui di sua madre. Se dovessi fare De Sica potrei chiedere alla Loren, sto spingendo per poterlo fare. Ho coinvolto Fanny Ardant, che anche se non mi ha concesso un’intervista ha comunque realizzato un piccolo contributo. Avendo lavorato personalmente con Risi e Scola forse la scoperta maggiore per me è stata Antonioni, che conoscevo solo tramite il suo cinema. Lo si immagine sempre serio ma invece gli piaceva ridere e scherzare. Catherine Spaak mi ha datto che secondo lei Risi nascondeva un mistero. Non lo avrei pensato ma se lei, donna giovanissima ai tempi, lo ha notato allora va preso in considerazione. Questi sono i sensori delle donne che rivelano sguardi inediti”.


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