19 Ottobre 2020
Preziosi: “Il terremoto per capire il mio amore per l’essere umano”
Preziosi: “Il terremoto per capire il mio amore per l'essere umano”
Una geografia di territorio e di cuore, un documentario come una mappa, quella dei luoghi nazionali epicentro dei terremoti più terribili: La legge del terremoto, presentato in prima mondiale alla Festa del Cinema di Roma, è la storia della Natura sismica del nostro Paese e la Storia degli accadimenti ad essa correlati, strette nell’abbraccio sensibile che porta con sé anche ricercati materiali d’archivio, plasmati senza intento didascalico, ma psichico e emotivo.
Alessandro Preziosi, regista, voce e presenza del documentario, ha “avvertito” molto, molto vicino il terremoto dell’80 in Irpinia – aveva 7 anni, “ero a casa di un amico, al terzo piano, sul letto a castello, e pensavo fosse uno scherzo di Emilio: poi sono sceso le scale ‘a quattro a quattro’, e, quando mi sono girato, metà casa non c’era più. Per questo è la storia di un sopravvissuto, di me che – nascendo giurista – interpreto la ‘legge’ come oggettiva: il terremoto, se è successo, riaccadrà”, spiega l’autore.
“Sono sempre stato un mezzo, anche quando ho fatto regie teatrali, sono sempre stato un filtro: mi sono reso conto di procedere casualmente, talvolta, nella mia vita – parlo di arte, politica, giornalismo – dunque ho usato come pretesto il terremoto, e l’esperienza personale, per capire cosa ci sia a guida della mia esistenza, è c’è un profondo amore per l’essere umano”, aggiunge.
Preziosi entra in scena di spalle, poi lo scopriamo in viso – riflessivo, malinconico, alla ricerca di qualcosa – mentre si sta avvicinando ad una cancellata arrugginita, da lì in là edifici incerti, pericolanti, e poi subito a seguire l’inserto – in bianco e nero – delle prime sequenze d’archivio. Preziosi mostra e monta in parallelo il luogo distrutto “di ieri” e il luogo, ancora distrutto, di oggi, e ci si addentra: come, al tempo, tra le macerie, ci s’addentravano le forze dell’ordine o chi aiutava i soccorsi. E poi inizia a parlare, Preziosi, come voce fuori campo: “ogni persona che incontri ha paura di qualcosa, ama qualcosa e ha perso qualcosa…”, cominciando così al viaggio tra i luoghi colpiti dai più drammatici episodi sismici del nostro Paese, continuando nell’alternanza tra un uso sostanziale di documenti e materiali d’archivio – per cui il Luce è significativo protagonista – con riprese attuali, giocando tra primi piani e panoramiche aeree, così differenti e per questo di efficace suggestione estetica. “Quando mi sono accorto di aver montato immagini d’archivio in modo che ‘ascoltino’ le testimonianze degli intervistati ho capito che avevo – per un caso – colto l’ascolto di due Epoche, che parlano fra di loro, senza giudicarsi: credo sia un omaggio alla dignità dell’essere umano e alla responsabilità di parlare di dignità. Avevo 8 ore di materiale e scegliere una linea editoriale forte è stato un miracolo”, in cui le sequenze d’archivio non sono “solo un modo per far cultura o appartenere alla memoria. In particolare, quando ho parlato degli esodi, per cui si è costretti ad abbandonare la propria terra, ho notato che i finestrini dei treni non si possono più abbassare, e a me, che ‘ho vissuto sui treni’, quella cosa manca molto – guardare, stringersi la mano, passarsi qualcosa – perché penso ci abbiano ridotto il contatto umano, per cui sono grato all’Istituto Luce, e a chi ha conservato memoria di questo, tra l’altro girato davvero bene, tanto che ho cominciato a girare come giravano loro”, spiega Alessandro Preziosi.
“Io ho amato e perso qualcosa durante il terremoto dell’Irpinia del 1980, la terra aveva tremato, anche se – nella mia immaginazione di bambino – aveva danzato: e in pochi secondi s’è presa tutte le mie abitudini, mie e di molte persone che conoscevo, a cui avevo voluto bene” così “…dalle Alpi a Lampedusa gli italiani presero atto che esiste un diluvio incombente sulle loro teste” – continua l’attore su girato del doc, in cui alterna lui, adesso adulto, mentre cammina veloce e corre per quelle stesse terre ancora crollate, desolate, al sé bambino in forma di finzione: gli dà corpo e voce il piccolo Filippo Franzè.
Non mancano testimonianze dirette – Erri De Luca, Pierluigi Bersani, ma anche persone comuni, come il vigile del fuoco – che Alessandro Preziosi sceglie di mettere in scena con una scenografia metaforica, una non scontata e suggestiva soluzione vicina all’installazione artistica: l’intervistato seduto – frontale alla camera, immerso nel buio – s’intuisce solo ad istanti, quelli in cui lampeggiano, intermittenti, geometrici faretti monocolore disposti in punti diversi del campo, fino ad essere – infine – illuminato; dapprima ne sentiamo la voce che racconta, ma scopriamo infine essere (in parte) fuori campo: la persona è solo in scena, muta, ci guarda. Una modalità, questa del soggetto in scena la cui narrazione vocale giunge dall’esterno, contigua a quella che Preziosi sceglie anche per le sequenze che lo riguardano direttamente, come per il racconto di altri testimoni, così “la restauratrice”, sulle parole di se stessa nel ricordo dei tre giorni trascorsi sotto le macerie, bambina.
“Tutto quello che ho fatto nella mia vita passa attraverso due luoghi: l’isola di Capri, che è ferma, una cartolina, e i musei, in cui l’immagine è ferma; ‘Il Madre’ di Napoli, il ‘Museo di Capodimonte’, tutti i musei sono luoghi in cui ho costruito creativamente il lavoro che andavo a fare, sia come regista teatrale, sia come attore, quindi ho cercato – anche in questa prima esperienza – di riprodurre quel mio bagaglio e la potenza del fermo immagine, facendo respirare l’immagine per creare un tempo, che a me è stato dato dalla staticità, nonostante sia io un irrequieto; l’arte la considero una forma di educazione, perché il sudario del Cretto (di Gibellina, opera di Alberto Burri, nrd) è abbastanza destabilizzante se uno lo volesse analizzare: al di là della suggestione di girarci dentro, non lo capirai mai, non hai strumenti, ma se lo scomponi e lo abbini a quello che c’era prima capisci l’importanza di ciò che avevi, e che non hai più, questo fa l’arte, secondo me”, continua ancora Preziosi.
La legge del terremoto è anche film animato: alcune sequenze – come quella dopo l’inserto da Don Chischotte e il planare sulle saline con i mulini a vento – sono realizzate con un’animazione morbida nel tratto ed essenziale nella cromìa, sfumature di vaniglia e grigio, tinte con altre, rosate. “L’idea è nata perché volevo si raccontasse la Valle del Belice come era prima, mostrarla; poi s’è trasformata in un testo, per far raccontare a dei bambini la loro visione del futuro, della speranza, del fatto che prima che avvenga un evento così drammatico tu stai guardando verso il futuro; l’animazione serviva a fare da collante con un mondo che non si aspetta ci sarà qualcosa che lo sconvolgerà; l’animazione, quel mondo incantato – io se potessi vivrei in un cartone animato –, serviva da contraltare alla difficoltà di raccontare il ‘come era prima’. Chi se lo ricorda ‘come era prima’ Gemona, Amatrice? Dice bene Sgarbi (tra le testimonianze): ‘il terremoto serve ad indicare luoghi che non conoscevamo, un rimpianto imperfetto’, perché ti segnala qualcosa quando non ce l’hai più”.
Prodotto da Khora Film con Rai Cinema, Rai Teche, Istituto Luce Cinecittà, che lo distribuisce: il doc annuncia un’uscita evento in sala il 23-24-25 novembre, ricorrenza del terremoto in Irpinia del 1980, con successivo tour in luoghi-simbolo dal punto di vista sismico.